Covid Roma, sos medici: letti solo tra un mese. «Il sistema così rischia il collasso»

Covid, sos medici: letti solo tra un mese. «Il sistema così rischia il collasso»
Covid, sos medici: letti solo tra un mese. «Il sistema così rischia il collasso»
di Francesco Pacifico
Sabato 31 Ottobre 2020, 22:54 - Ultimo agg. 22:56
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La Regione ha chiesto ai maggiori ospedali di Roma non Covid-19 di trovare ulteriori 1.550 posti letto per pazienti positivi da attivare entro il 20 novembre. Sono necessari per liberare i loro pronto soccorso. La missiva è stata inviata giovedì scorso dalla Direzione regionale Salute a strutture medio grandi pubbliche e private come il Santo Spirito, il Pertini, il Sant’Eugenio, il Sant’Andrea, il Casalino o il Grassi. Entro domani questi nosocomi devono indicare quanti e quali letti saranno disponibili. Ma nel mondo della sanità romana è il futuro di altri posti letto che preoccupa: i 1.141 in più che la stessa Regione ha deciso di creare con un’ordinanza in vigore da lunedì scorso e che dovrebbero essere operativi entro e non oltre il 7 novembre. La comunità medica come i sindacati lanciano l’allarme che non saranno attivati prima di un mese. Spiega al riguardo Antonio Magi, presidente dell’Ordine dei medici del Lazio: «Per come stanno andando le cose, non vorrei che questi posti finiscano per essere trovati troppo tardi, non vorrei che passasse un mese. Anche perché si stanno registrando una serie di complicanze burocratiche che allungano i tempi e che in questo momento non possiamo permetterci». Gli fa eco Roberto Chierchia, segretario generale della Funzione pubblica della Cisl Roma: «Se tutto andrà bene, passeranno almeno 20 giorni. E sono ottimista. Bisognava muoversi prima e non soltanto su questo fronte: attualmente, e in tutto il Lazio, mancano almeno 10 mila tra medici, infermieri e operatori sociosanitari».

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Alla base dei ritardi nella creazione di nuovi posti letto ci sono problematiche di natura organizzativa: intanto trasferire i pazienti non Covid in altre sedi per lasciare spazio a quelli contagiati. Senza contare che gestire strutture impegnate soltanto o per la maggior parte sul fronte della lotta al Coronavirus comporta delle restrizioni e un numero di personale superiore agli organici attuali. Emblematico che nella lettera inviata giovedì scorso per reperire 1.550 letti la Regione scriva: «Pertanto nell’adattamento progressivo della rete ospedaliera Covid 19 si richiede alle SSLL di destinare entro le prossime 48 ore un numero di posti letto necessario al riassorbimento dei casi confermati Covid-19 in attesa di ricovero, consentendo alle strutture di Ps/Dea di svolgere in sicurezza la loro attività e all’Ares 118 di rispondere nei tempi previsti alla richieste di soccorso».

La situazione nel Lazio sta via via esplodendo e non soltanto perché nelle ultime 24 ore i contagi sono stati nella Capitale 1.180 contro i 728 di una settimana fa.

Sono circa 400 i pazienti positivi che attendono un posto letto e adesso sono “ricoverati” o nelle sale dei pronto soccorso (la stragrande maggioranza) oppure nelle ambulanze, una cinquantina, ferma davanti ai principali nosocomi romani. Se non bastasse c’è da fare i conti con un migliaio, secondo la Cisl, di medici, infermieri e operatori sociosanitari che si sono ammalati o sono in autoisolamento in tutta la Regione e che rendono più complesso garantire alle strutture di coprire tutti i turni.

L’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, continua a tranquillizzare che gli ospedali reggono ancora e con i suoi uffici sta studiando se aprire altri Covid center (in quest’ottica si guarderebbe al Città di Roma). Ma alcune grandi strutture sono già sature. «A Tor Vergata - segnala Chierchia - gli operatori ci hanno fatto sapere che il pronto soccorso non è attrezzato e che la direzione avrebbe già trasformato un blocco operatorio in un reparto Covid. Il San Camillo non ha tutti i posti che dovrebbe aprire e lo stesso sta avvenendo anche al Policlinico Umberto I, dove ogni giorno si creano nuovi letti per affrontare la pandemia». Secondo Antonio Magi, la soluzione «è soltanto quello di ampliare l’assistenza domiciliare. Ma servono gli uomini: per esempio le Uscar, le unità operative della Regione, sono guidate da bravissimi colleghi di medicina generale, che a loro volta dirigono il lavoro di tanti giovanissimi e volenterosi medici. Ma il reclutamento di nuovi sanitari non sta portando i risultati sperati».
 

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