I numeri sono rigore, rigide formule, ma anche fantasia, estro, creatività. È la doppia anima di Guido Trombetti, matematico, ex rettore della Federico II, ma anche appassionato scrittore, in particolare delle vicende calcistiche che segue con l’occhio entusiasta del tifoso. Proprio il suo feeling con la scienza, dove tutto è dominato da schemi e regole inflessibili e immutabili, rimanda a uno dei migliori vini italiani, che diventa tale solo in virtù di uno scrupoloso rispetto del disciplinare, tra i più inviolabili, anche per proteggerlo dalle gravi e pericolose manipolazioni avvenute in passato: il Brunello di Montalcino (Sangiovese in purezza). Prima di sbocciare, infatti, il Brunello deve attendere cinque anni dalla vendemmia ed avere un affinamento di almeno due anni in botti di rovere; deve inoltre riposare in bottiglia quattro mesi e solo dopo può essere commercializzato per finire nella casa di qualche fortunato amatore. Un rosso intenso, con un ampio e prezioso bouquet che comprende sentori di frutti di bosco, spezie, tabacco, vaniglia, imprevedibile e sorprendente a ogni sorso, a ogni bottiglia.
La matematica ci fornisce un assist anche per la scelta del bianco. Ecco che, pensando al prof Trombetti, prende forma davanti ai nostri occhi il grappolo della Malvasia di Candia, orgoglio dell’Emilia Romagna ma non solo, con gli acini sferoidali, che rimanda alle forme geometriche più suggestive: un vitigno che però, pian piano, si discosta dalla scienza per assumere una veste più artistica dovuta alla sua capacità di essere versatile, camaleontico, tant’è che viene utilizzato, e regala anche qualche soddisfazione, per realizzare gli spumanti ma anche i passiti. Versatile proprio come il matematico-scrittore Guido Trombetti.
«Non sono un intenditore ma un consumatore morigerato, di vino buono ovviamente, quello scadente lo lascio nel bicchiere. Da ragazzo, non so bene neanche perché, mi piaceva il prosecco ora invece bevo quasi solo rosso. Sì, rosso anche sul pesce. Lo so, lo so: i puristi avranno da ridire ma un calice di Taurasi lo trovo gradevole pure con la spigola». Guido Trombetti, matematico napoletano, un passato da Magnifico e una buona dose di senso dell’ironia, parla di vino e parla di numeri, quelli con cui, è il caso di dirlo, fa i “conti” da una vita, e li accosta in un binomio che non fa una piega: «Siamo d’accordo o no sul fatto che la matematica è fatta anche di tecniche?».
Siamo d’accordo.
«E secondo voi senza usare la tecnica, una buona tecnica, il Brunello si può fare oppure no? Voglio dire che come l’errore matematico scombina le dimostrazioni così quello enologico rovina il vino. Dunque: la similitudine c’è».
Se le dicessimo che se fosse un rosso - secondo noi - assomiglierebbe proprio a un Brunello?
«Che onore. Essere paragonato al Brunello mi sembra un gran complimento. Ci vuole un bel po’ di fantasia ma in matematica i grandi risultati sono sempre frutto della fantasia e sono abbastanza convinto che anche il Brunello, pur nel rispetto di un disciplinare severo, sia un vino carico di immaginazione».
In realtà il matematico più che fantasioso appare freddo e razionale.
«Questa è la percezione comune, vi assicuro che così non è. D’altronde la matematica entra in tutto, in qualunque branca del sapere umano ci trovi dentro una tela che è una tela matematica».
E il vino che c’entra?
«C’entra perché pensavo a quanti studiosi conosco veri e propri cultori, che nella conoscenza del vino hanno messo amore e passione, altro che freddezza e razionalità».
Qualche nome.
«Uno su tutti: Luigi Moio, mio grande amico, un genio. Che ho l’orgoglio di aver portato alla Federico II dall’Università di Foggia».
Ma è un enologo mica un matematico.
«Se avesse assecondato il suo desiderio avrebbe studiato matematica alla Normale di Pisa, ha dovuto rinunciare per occuparsi dell’azienda di famiglia e però si è levato lo sfizio di piantare le viti seguendo il movimento della Spirale di Fibonacci».
Fibonacci lo scienziato toscano?
«In realtà un comune matematico del XIII secolo il cui maggiore contributo fu forse quello di promuovere, in una Europa ancorata per tradizione ai numeri romani, l’utilizzo della numerazione araba».
Le vigne a forma di spirale sono piuttosto insolite.
«Luigi è tra le più belle menti che conosco. D’altronde è grazie a lui se ad Avellino fu attivato il primo corso di laurea in viticoltura e enologia. Negli anni poi l’iniziativa è cresciuta per l’impegno dei rettori che si sono succeduti, Marrelli, Manfredi, Lorito, e dei presidi e direttori del dipartimento di agraria tra i quali Luigi Frusciante, Paolo Masi e lo stesso Lorito».
Etichetta preferita?
«Quintodecimo senza dubbio. Purtroppo come dicevo non sono un grande intenditore e di questo me ne rammarico».
Le sarebbe piaciuto saperne di più?
«Ho sbagliato a non farlo e oggi invidio gli esperti. Credo che il vino sia come la musica, se non c’è qualcuno che te la insegna fai più fatica ad ascoltarla e apprezzarla perdendo qualcosa di molto bello. Per fortuna c’è mia moglie Paola che sul tema del vino ha una sensibilità - e una conoscenza - superiore alla mia».
Insomma bisognerebbe imparare a conoscere ciò che si beve.
«Il vino ha una sua poesia intrinseca, nasconde sapori, odori, trasmette fascino. Non a caso in letteratura è sempre presente, nei momenti di festa, in quelli del dolore, quando si tratta di sancire successi e sconfitte come se fosse un vecchio amico».
D’altronde gli antichi romani non se lo facevano mai mancare.
«In quel caso c’era anche un’altra ragione: l’acqua era talmente sporca e inquinata che bevevano vino per salvarsi la vita».
Volendola definire dal punto di vista enologico, “bevitore non esperto ma appassionato” le andrebbe bene?
«Se vuol dire che un buon bicchiere non me lo faccio mancare, la definizione mi sembra perfetta. Il vino è qualcosa che trascende dal valore materiale, è una straordinaria forma di accompagnamento, una sorta di semplificatore dei rapporti».
Oggi si dice “social”.
«Giusto, social che poi vale un po’ per tutti gli alcolici. Provate a immaginare la storia del western senza il whisky. O “Casablanca” con Humphrey Bogart che non fuma. Impossibile. Impossibile come una cena senza vino».