La villa della malasorte
e le povere suore
prese a calci da un Re

La villa della malasorte e le povere suore prese a calci da un Re
di Vittorio Del Tufo
Domenica 23 Ottobre 2022, 20:00
5 Minuti di Lettura

Impiccheranno Geordie
con una corda d'oro
È un privilegio raro
Rubò sei cervi nel parco del Re
Vendendoli per denaro

(Geordie, Fabrizio De Andrè)

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Incubi notturni. Cattivi presagi. Pensieri di morte imminente. Non si può certo dire che Alfonso II d'Aragona - re di Napoli dal 1494 al 1495 - fosse un cuor di leone. Il primogenito di Ferdinando I detto Ferrante (e nipote del grande Alfonso il Magnanimo) aveva paura di tutto, anche della propria ombra. Quando il re di Francia Carlo VIII invase l'Italia Alfonso preferì abdicare in favore del figlio Ferrandino, anche se era asceso al trono solo da pochi mesi. Pare che fosse perseguitato, appunto, da spaventosi incubi, e tormentato dai morti che si era lasciato alle spalle. Fuggì in Sicilia e si chiuse in un ministero.

No, non si può proprio dire che il coraggio fosse la sua principale dote. Eppure Alfonso II amava ugualmente fare le cose in grande. Il sovrano aveva un notevole gusto per l'eleganza e le sue dimore furono chiamate delizie alfonsine. Il Poggio Reale, dove oggi sorge il cimitero, con il suo splendido parco che arrivava fino al mare; la Conigliera, di cui sopravvive qualche traccia in via Luperano 7, al Cavone, ma che un tempo si estendeva fino alla strada dell'Infrescata, cioè via Salvator Rosa; la Ferrantina, nella zona dell'attuale liceo Umberto, a Chiaia; e la Duchesca, che si chiamò così per celebrare l'amore tra Alfonso II e Ippolita Maria Sforza, figlia di Francesco Sforza, il primo duca di Milano appartenente alla celebre dinastia.

Oggi, dove un tempo sorgeva la splendida dimora dedicata a Donna Ippolita, le cronache raccontano storie di ordinario degrado. Eppure per costruire la sua villa di delizie nei pressi di Castelcapuano Alfonso non badò a spese. E non esitò ad allontanare con la forza le monache del convento di Santa Maria Maddalena, sue vicine di casa. Per vincere la loro resistenza, e obbligarle a sloggiare, il futuro sovrano, all'epoca Duca di Calabria, non si fece scrupolo di prenderle personalmente a calci, ordinando poi che venissero trascinate fino al vicino convento di Santa Caterina a Formiello, affianco a Porta Capuana.

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Che razza di storia è questa? Un re che prende a calci le suore? Proprio così: a mano a mano che la villa della Duchesca cresceva, Alfonso aveva bisogno di spazi sempre più ampi per alloggiare i suoi cortigiani, ed appuntò le sue mire sul vicino convento di Maria Maddalena. Dapprima acquistò dai Celestini il complesso di Santa Caterina a Formiello; poi, ottenuto il consenso del Papa nel 1489, vi trasferì a forza le riottose monache agostiniane. Ancora fino al XVI secolo, in una remota stanza del convento della Maddalena, v'era una stanza affrescata con l'immagine del futuro re Alfonso raffigurato mentre spingeva a calci una suora urlante (vedi anche Renato Ruotolo, Santa Caterina a Formiello, in Napoli Sacra volume 2).

Alfonso, che era molto superstizioso, dovette pentirsi presto di quell'eccesso d'ira, perché le vendicative monache gli lanciarono un'anatema. Dopo quel trasloco forzato molti cortigiani di Alfonso fecero una tragica fine e la stessa duchessa Ippolita Maria Sforza non riuscì a godere appieno della splendida dimora che il marito le aveva donato (la Duchesca, appunto) perché morì prima del completamento dei lavori. Sul piano politico, poi, le cose andarono da quel momento di male in peggio. Quando Carlo VIII scese in Italia per riconquistare la terra dei suoi avi angioini, Alfonso II d'Aragona abbandonò il Regno - vilmente, dissero in tanti - nominando reggente il figlio Ferrandino.

Quest'ultimo, non potendo contare sull'appoggio di altri stati italiani, non riuscì a opporsi al nemico e fu costretto a capitolare. Stava finendo un'epoca: l'epoca degli Aragonesi.

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Uomo di poco coraggio ma di robusta fede - e di visioni mistiche, che spesso si trasformavano in vere e proprie ossessioni - Alfonso non era ancora re quando decise di portare nella chiesa di Santa Caterina a Formiello i corpi di duecento Martiri d'Otranto barbaramente uccisi e decapitati dai Turchi dopo il terribile assedio del 1480. Una pagina di storia che merita di essere raccontata perché ambientata, nel suo capitolo conclusivo, proprio in questa chiesa detta a formiello (dal latino ad formis, ossia presso i condotti, presso i canali) in quanto nei suoi pressi penetrava in città l'antico acquedotto della Bolla, acquedotto che fu poi totalmente sostituito verso la fine del XIX secolo dall'attuale in uso, quello di Serino.

La cittadina del Salento era stata presa d'assalto la notte del 28 luglio 1480 dalla flotta turca guidata da Gedik Ahmet Pascià. Nel massacro che ne seguì, tutti i maschi di oltre quindici anni furono uccisi, mentre le donne e i bambini furono ridotti in schiavitù. I Martiri d'Otranto che avevano rifiutato di rinnegare la propria fede cristiana, rimasero senza sepoltura per un anno intero, fino a quando la città pugliese fu ricristinizzata. Quando Otranto venne riconquistata dagli Aragonesi, Alfonso II decise di trasferire a Napoli, nella chiesa di Santa Caterina a Formiello, 240 reliquie (delle ottocento totali) appartenenti ai martiri della città pugliese. I crani dei cristiani decapitati dai turchi sono pressocché integri, mentre un dipinto più di altri, tra i tanti custoditi nella chiesa di Santa Caterina a Formiello, restituisce l'orrore di quella mattanza. È una pala di inizio 900 e raffigura un episodio legato al massacro del luglio 1480. È il Martirio di Antonio Primaldo, uno degli abitanti di Otranto condotti dai turchi sul Colle della Minerva, dove si consumò l'eccidio. Le cronache raccontano che il corpo di Antonio, senza testa, rimase in piedi fino all'esecuzione dell'ultimo concittadino. Il prodigio scosse a tal punto uno dei carnefici, tale Berlabel, da convincerlo a convertirsi. Fu impalato a poca distanza dal tronco eretto di Primaldo. Macabre storie del passato che riecheggiano tra le navate della monumentale chiesa di piazza Enrico De Nicola.

Le reliquie furono prima installate sotto l'altare della Cappella del Rosario (nel transetto destro), poi nella cappella domenicana nel 1739. Nel 1901, le reliquie dei martiri furono collocate permanentemente in un sarcofago sotto l'altare della Cappella della Visitazione a per renderli più visibili alla devozione popolare.

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La dimora della Duchesca, che tanta sfiga portò ad Alfonso II, era stata progettata da Giuliano da Maiano nel 1490, tra Castel Capuano e San Pietro ad Aram. Nelle intenzioni di Alfonso, sarebbe dovuta diventare la nuova dimora della Corte e della capricciosa nobiltà che vi ruotava attorno. Il sovrano amava immergersi nell'intricata verzura di alberi, giardini e orti, lasciando il castello-fortezza (Castel Capuano) per questa amena delizia ricca di verde e di magnifici ambienti. Mentre si costruiva la Duchesca e si completava il giardino grande di Castel Capuano, proseguiva anche l'ampliamento della cinta muraria aragonese. Grandi progetti del passato, che non richiedevano i tempi biblici che dobbiamo invece tollerare oggi. 

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