L'alba di Pino Daniele,
quei capolavori nati
nella Grotta di Geremia

L'alba di Pino Daniele, quei capolavori nati nella Grotta di Geremia
di Vittorio Del Tufo
Domenica 19 Dicembre 2021, 20:00
6 Minuti di Lettura

«Fatt'accumpagnà fino ncoppa a Stella o vi'
e sera parlammo meglio, sì
Nuje ca scennevemo Santa Teresa».

(Pino Daniele, Santa Teresa)

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È il 1976, e tutto deve ancora accadere.
Un ragazzo di 21 anni, Pino Daniele, ex studente dell'istituto Diaz, per tutti Pinotto, accompagnato dal suo produttore, Claudio Poggi, varca la soglia dell'emittente romana Radio Eurosound e presenta in diretta, in anteprima assoluta, una canzone che parla di mille colori e di mille paure, di voci che salgono piano dai vicoli e di una città che è tutto nu suonno. Quando la canzone finisce, il conduttore del programma ripete due volte: «Non ho parole. Veramente, non ho parole».
Non aggiunge altro. Non c'è bisogno di aggiungere altro.
È il 1976, ed è l'alba di «Terra mia».

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Il sindaco è Maurizio Valenzi, l'allenatore del Napoli Bruno Pesaola, il goleador degli azzurri Beppe Savoldi, mister due miliardi. Sono gli anni di piombo, ma anche di nuovi fermenti culturali e musicali. I napoletani impazziscono per la Nccp, frutto delle ricerche del pifferaio magico Roberto De Simone, che armato di registratore dà la caccia ai suoni e ai fantasmi del passato. La favola degli Showmen, invece, è già finita, Mario Musella e James Senese hanno preso strade diverse. Senese, nel 75, ha fondato i Napoli Centrale con l'inseparabile Franco Del Prete. Edoardo Bennato è già un big, gli Osanna hanno pubblicato tre album e il grande Eduardo ha appena presentato il suo «Natale in casa Cupiello» alla storica Festa dell'Unità nella Mostra d'Oltremare.

È il 1976, e tutto deve ancora accadere.

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Nuje ca scennevemo Santa Teresa. Questa meravigliosa storia, che appartiene a tutta la città, comincia davanti alla cupola maiolicata di frate Nuvolo e continua all'ombra delle grotte di tufo delle Fontanelle, dove riposano le anime dell'eterno purgatorio napoletano. Pinotto a quei tempi militava nel gruppo dei Batracomiomachia, ed era fidanzato con un'operaia della fabbrica di scarpe di Mario Valentino. I musicisti del gruppo erano i suoi amici di sempre: il bassista Rino Zurzolo, che veniva dal Vomero; il batterista Rosario Jermano, che abitava a Materdei, il sassofonista Enzo Avitabile, che a quei tempi viveva ai Colli Aminei; il pianista Paolo Raffone, originario del centro storico, il violinista Gianni Battelli (la cui famiglia possedeva un bar a Santa Maria la Nova dove Pino e Enzo Gragnaniello lavorarono per un breve periodo come garzoni) e il cantante Enzo Ciervo, che abitava alla Sanità. Proprio la Sanità diventò, in quegli anni, il luogo di ritrovo di quella strana e un po' squattrinata tribù di musicanti che dopo le prove si riuniva alla storica Cantina del Gallo di Rosario Silvestri, in via Telesino, dove partono le scale che s'inerpicano fino a Materdei.

In quegli anni i Neri a Metà, la generazione di Pino Daniele, di Enzo Avitabile e degli altri componenti dei Batracomiomachia (ma anche di Mario Musella, James Senese, Enzo Gragnaniello, Gigi De Rienzo, Tony Esposito, Tullio De Piscopo e altri ancora) stavano tracciando più o meno inconsapevolmente una linea netta di demarcazione con i suoni del passato, facendosi interpreti di un movimento culturale che sarebbe passato agli annali come neapolitan power, guardando al black power afroamericano. Erano tutti cresciuti assorbendo la cultura angloamericana, il rhythm n'blues, e bagnando quel sound nelle acque del nostro Mediterraneo, nel nostro patrimonio popolare e culturale.

I suoni di oltreoceano si fondevano con le nostre radici. E si fondevano, letteralmente, con la pietra gialla della città porosa, il cuore di tufo delle grotte napoletane.

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A Napoli, a quei tempi, non c'erano strutture che permettessero ai musicisti di suonare; c'erano però le caverne e le grotte di tufo: tante, tantissime cantine di tufo, soprattutto alla Sanità, nei pressi dell'ex ossario delle Fontanelle, il cuore di tenebra della città.

Le grotte di Napoli diventarono così il teatro di improvvisati raduni durante i quali poteva capitare che molti artisti napoletani, passando spesso da un gruppo all'altro, dessero vita a una sorta di infinita jam session all'insegna delle sperimentazione.

Enzo Ciervo, il cantante dei Batracomiomachia, nome d'arte Geremia Blue, scomparso nel 1990, era proprietario di una piccola e umida grotta di tufo in vico San Nicola alle Fontanelle 9, nei pressi del cimitero.

Lì il gruppo provava (gratuitamente) per giornate intere, fondendo il blues e il progressive con il dialetto della città-madre. E lì, nella Grotta di Geremia, Pino cominciò a provare i pezzi che poi confluirono nell'album d'esordio, «Terra mia».

Siamo tornati nella mitica grotta delle Fontanelle, dove tutto ebbe inizio, con un protagonista e un testimone d'eccezione di quegli anni, Enzo Avitabile. Che ancora oggi considera questa piccola e fredda caverna, dove per suonare bisognava indossare parecchi strati di sciarpe, «un luogo karmico, dove un'intera generazione di musicisti napoletani (la grotta di Ciervo veniva usata per le prove anche da altre band napoletane, ndr) cercava una propria dimensione nel mondo e nella vita. Qui sento il passato con gli occhi del futuro», dice Enzo. E Pino? I ricordi sono luminosi frammenti. «Un giorno, con la sua Gibson Les Paul, ci disse: Guagliù, v'aggia fa sentì nu piezz. E ci fece sentire, per la prima volta, le parole di Terra mia».

Presero forma qui, nella Grotta di Geremia, a due passi dalle anime pezzentelle della città sepolta, la carta sporca e il sole amaro, l'èvera che addora e e culure che se ne scennene, la roba bella di Furtunato (il tarallaro Fortunato Bisaccia, cresciuto tra Sedile di Porto e il Pendino, la cui «ditta» chiudeva il lunedì) e a tazzulella e' cafè che acconcia a vocca a chi nun po' sape'. Tutto era magico: anche il nome del primo gruppo di Pino, Batracomiomachia. «A noi piaceva molto questo nome - ricorda Avitabile - perché sapeva di magia, di alchimia, di fantasia prima ancora che di guerra tra rane e topi, di scuola, di Omero e Leopardi».

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Anche Peppe Lanzetta, che di Pino è stato uno dei più cari amici, ricorda con nostalgia le giornate trascorse nella caverna e la straordinaria energia di quelle jam session improvvisate. «Dalla Grotta di Geremia - ha scritto recentemente nel libro Pinotto, pubblicato con Colonnese - sono passati tutti i musicisti napoletani e molti di quelli romani che approdavano a Napoli: gli Osanna di Lino Vairetti, Jenny Sorrenti, Dante Pica, Rino Zurzolo, Rosario Jermano, Gianni Battelli, i fratelli Giglio, i fratelli Fiorenzano, Enzo Avitabile, Città Frontale, Aquile Reali, Balletto di Bronzo, Paolo Raffone... C'era un'acustica bestiale e come sala prove era ottima».

E la sera? La sera - soprattutto quando, grazie ai concerti, ma succedeva raramente, si riusciva a mettere un po' di soldi in tasca - si andava tutti da Rosario. Ovvero alla Cantina del Gallo di via Telesino, luogo anch'esso magico come la Grotta di Geremia Blue. «Ci riunivamo lì - ricorda Avitabile - soprattutto quando qualcuno ci dava un rimborsino. E la domenica, per festeggiare i primi ingaggi davanti a un buon bicchiere di vino». Quella cantina, nei ricordi di Lanzetta, «traboccava d'affetto, d'amore, di gioia e di partecipazione indescrivibili. Tra quei tavoli ho fatto le mie prime performance teatrali. La gente rideva e nessuno protestava. Enzo Ciervo sulla pizza si faceva mettere un uovo crudo, così gli piaceva mangiarla. Disgustoso! E Rosario, il pizzaiolo, lo accontentava sempre, giustificando quel gusto incomprensibile con un: Quelli so' artisti!».

Quelli sono artisti. Le loro vite sono state anche le nostre, i loro sogni hanno nutrito i nostri sogni. Terra mia è terra nostra. E nella Grotta dove tutto è nato, scavata nel tufo delle Fontanelle e della città porosa, è rimasta intatta tutta l'energia di una stagione magica e irripetibile. 

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