Maddalena e i demoni,
quel ponte fantasma
che scavalca la Storia

Maddalena e i demoni, quel ponte fantasma che scavalca la Storia
di Vittorio Del Tufo
Domenica 28 Novembre 2021, 20:00
5 Minuti di Lettura

«Perché vuoi passare per il ponte della Maddalena? Non c'è più niente lì. Solo degrado, abbandono, e materassi dove bivaccano i disperati».
«Perché bisogna sempre dare una seconda opportunità ai luoghi. Specialmente a Napoli».
(Dialogo tra gli autori di questa pagina).

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Fantasmi. Sono fantasmi di un mondo perduto quelli che di notte si affacciano dal ponte della Maddalena. Fantasmi di un passato leggendario, maledetto, in parte ancora avvolto nel mistero. Fantasmi dei condannati a morte, che su quel ponte oggi irriconoscibile, affogato nel cemento, volgevano l'ultimo sguardo al mare prima di essere impiccati.

Fantasmi di santi e poveri diavoli, di eroi e bastardi senza gloria, di sanguinari invasori. Come il conte di Lautrec, il terribile comandante francese Odet de Foix che nel 1528, cinse d'assedio Napoli, affamandola. I fantasmi degli uomini e delle donne che il 16 dicembre 1631 parteciparono a una processione diventata leggenda. Quel giorno, all'indomani della spaventosa eruzione del Vesuvio, i napoletani portarono la statua di San Gennaro sul ponte e la lava, miracolosamente, s'arrestò.

Fantasmi. Se provi a tendere l'orecchio, senza farti distrarre dal rumore delle auto dirette verso la Marina, puoi sentire le loro invocazioni, i loro lamenti, e il ponte che un tempo scavalcava il fiume Sebeto lentamente riprende vita sotto i tuoi occhi, trascinandoti nel baratro del passato.

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Cera una volta il pons paludis. Lo chiamavano così perché un tempo, fuori le mura della città, era una continua alternanza di paludi, grandi orti recintati, tenute da caccia e mulini. Fiumi e acque sorgive, oggi visibili solo nelle mappe più antiche, bagnavano la città extra moenia. Qui un tempo scorreva il Ribeolo, che unendosi ad altri corsi d'acqua confluiva nell'ultimo tratto verso il mare - proprio sotto il ponte della Maddalena - nel grande Sebeto. Gocce di memoria. Dove oggi sorge la baraccopoli dei senzatetto nel 1320 sbarcò Luigi II d'Angiò. A quei tempi, in zona, sorgeva una piccola chiesa dedicata a Maria Maddalena, oggi scomparsa.

Due secoli dopo il pons paludis fu attaccato dal comandante Lautrec. Si era nel pieno delle guerre italiane tra Carlo V, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero, e il re di Francia Francesco I. Nell'aprile del 1528 Lautrec strinse d'assedio Napoli installando l'accampamento francese nella zona attualmente occupata dal Cimitero delle 366 Fosse, a Poggioreale. Pochi mesi più tardi, per vincere le resistenze degli assediati, il comandante francese distrusse le condutture dell'Acquedotto della Bolla, le cui acque si sparsero nei terreni vicini, e danneggiò in modo irrimediabile l'antico ponte, sulle cui rovine sarebbe sorto, alcuni decenni dopo, il ponte della Maddalena. In quello stesso anno al Ponte della Maddalena morì Orazio Baglioni, il capitano delle Bande Nere, che avevano partecipato alla spedizione guidata da Lautrec.

Danneggiato, distrutto, ricostruito più volte, fu definito, macabramente, il Ponte degli Impiccati. All'inizio del ponte, dalla parte dei Granili, v'era un mastodontico monumento in piperno: attraverso una porticina si accedeva a un rialzo dove c'erano delle forche, dalle quali pendevano per giorni i cadaveri dei condannati. «Questi poveri morti - ricorda Vittorio Glejieses ne I quartieri di Napoli - solo quando davano segni di putrefazione venivano sepolti sulla spiaggia di Vigliena assieme agli eretici. I cadaveri venivano poi dissepolti il 2 novembre di ogni anni e portati agli Incurabili».

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La memoria è tenace, la città non dimentica.

Non dimentica quello che accadde la notte tra il 15 e il 16 dicembre 1631, quando il Vesuvio si risvegliò e la lava coprì gran parte della superficie di Portici, Resina (l'antica Ercolano), San Giorgio a Cremano, Torre del Greco e Torre Annunziata. La frazione Pietra Bianca (Leucopetra) fu ridenominata, da allora, Pietrarsa. Violente scosse di terremoto accompagnarono l'eruzione e le vittime furono più di tremila. Si trattava dell'eruzione più violenta del vulcano da oltre 300 anni.

Proprio come, in un lontano passato, i napoletani implorarono l'aiuto del mago Virgilio per placare l'ira di Sterminator Vesevo, allo stesso modo, nel 600, per fermare la lava fu chiesta l'intercessione di San Gennaro: il 16 dicembre 1631 la statua e le reliquie del patrono furono portate in processione fino al ponte dei Granili e la colata di magma, miracolosamente, si arrestò. «Quello stesso braccio, un tempo sollevato da Virgilio, ora è eretto da San Gennaro. Il sangue si liquefa nelle ampolle, la lava si rapprende nelle vene della montagna indurita, fermata al ponte della Maddalena» (Palumbo-Ponticello,

Misteri, segreti e storie insolite di Napoli). Chi altri, se non il divo Janusrius, poteva fermare Vesevo? Per San Gregorio Magno e San Pier Damiani il Vesuvio era l'abitazione del demonio, e Tertulliano lo definì il «fumaiolo dell'inferno». L'abate di Montecassino Desiderio, che sarebbe diventato Papa con il nome di Vittore III, raccontò che di notte un monaco napoletano vide molti uomini neri che trasportavano «some cariche di paglia» lungo la strada. «Nonostante fosse fortemente spaventato, chiese loro come intendevano utilizzare quelle grandi scorte. Una voce che pareva giungere dall'oltretomba rispose: Noi siamo spiriti maligni e prepariamo l'esca per alimentare il fuoco che dovrà bruciare gli uomini cattivi. Precisò anche che presto sarebbero stati bruciati tali Pandolfo principe di Capua e Giovanni Duca di Napoli. Orbene, i due morirono proprio poco tempo dopo, mentre sul Vesuvio divampavano lingue di fuoco altissime (vedi Giuseppe Siano, Il sentire estetico e l'immaginario del Vesuvio tra la scienza della conoscenza sensitiva, il sublime e la catastrofe). Anche Luca Giordano dovette vedersela con la natura infernale del Vesuvio. Le storie del vulcano appassionavano enormemente il pittore napoletano (conosciuto anche con il soprannome di Luca Fapresto, che gli venne dato mentre stava lavorando nella chiesa di Santa Maria del Pianto a Napoli, quando dipinse in soli due giorni le tele della crociera). Secondo la leggenda il grande pittore avrebbe incontrato un diavolo sul Vesuvio, dopo aver rappresentato l'inferno in un dipinto. Spaventato dai complimenti che questi gli fece per averlo raffigurato magnificamente, ritornò a casa per distruggere il quadro e chiedere aiuto alla misericordia di Dio.

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Il ponte, restaurato durante il regno di Carlo di Borbone nel 1747, fu al centro dei violenti scontri tra truppe francesi del generale Championnet e l'armata sanfedista del cardinale Ruffo. La battaglia, uno dei capitoli più drammatici della rivoluzione napoletana del 1799, si concluse con la ritirata francese. Oggi, del vecchio ponte, è visibile solo una piccola parte. I grandi archi eretti per scavalcare l'acqua del fiume Sebeto sono murati da grossi blocchi di tufo, e quelle pietre sono l'unica testimonianza di un passato mitico e leggendario. Che appartiene a tutti. 

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