Januarius e il mistero
della terza ampolla:
dov'è il sangue rubato?

Januarius e il mistero della terza ampolla: dov'è il sangue rubato?
di Vittorio Del Tufo
Domenica 17 Gennaio 2021, 20:00
7 Minuti di Lettura

«Ormai dorme senza fine.
Ormai i muschi e le erbe
aprono con dita sicure
il fiore del suo teschio
E già viene cantando il suo sangue».

(Federico Garcia Lorca, Lamento per Ignacio Sánchez Mejías)
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Nel 1759 Carlo di Borbone viene proclamato re di Spagna con il nome di Carlo III. Prima di partire per Madrid, il sovrano vuole recarsi nel Duomo per rendere omaggio, per l'ultima volta, al santo a cui è devoto. La sua non è soltanto una visita di commiato, il re non si limita a inginocchiarsi e pregare. Prima di andare via, infatti, vuole portare con sé un piccolo souvenir, ovvero una parte della reliquia. Alimentando, con quello che molti hanno definito atto di devozione ed altri, più prosaicamente, furto con destrezza, uno dei misteri più oscuri e longevi tra quelli legati alla storia del sangue di San Gennaro: il mistero della terza ampolla.
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Scrisse un giorno Alexandre Dumas che San Gennaro non sarebbe esistito senza Napoli e Napoli non potrebbe sopravvivere senza San Gennaro. Non sappiamo se questo sia vero, riteniamo però che il vero miracolo di San Gennaro, più che nel prodigio della liquefazione, risieda nella potenza evocativa e simbolica della reliquia custodita, da centinaia di anni, nel Duomo di Napoli. Ovvero nelle ragioni - profonde e imperscrutabili - per le quali in quel sangue si è incarnata l'anima stessa di una città.

Qualcosa del genere deve aver pensato anche Carlo di Borbone. Che alla vigilia della partenza diede ordine ai suoi funzionari di prelevare del sangue dall'ampolla più grande, che appare oggi piena, infatti, solo al sessanta per cento. Quello che accadde dopo la partenza del sovrano lo apprendiamo da uno scritto del primo ministro del Regno di Napoli, Bernardo Tanucci, indirizzato al figlio ed erede di Carlo, Ferdinando IV. Fu lui a raccontare che Carlo avrebbe fatto custodire l'ampolla nella cappella maggiore dell'Escorial, fuori Madrid, con l'impegno di far celebrare, ogni 19 settembre, una messa per San Gennaro. Di quel sangue - che nonostante le preghiere dei sovrani spagnoli non si sarebbe mai sciolto - si sono perse le tracce.

Le autorità ecclesiastiche hanno cercato più volte di recuperare la terza ampolla, finora senza successo. Cosa ne è stato del sangue trafugato dal re Borbone? «Da tempo abbiamo avviato ricerche per informarci dell'ampolla scomparsa» afferma Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro. «Abbiamo anche attivato vie diplomatiche, ma senza esiti certi».

C'è una traccia, però. Inseguita, con tenacia, dallo stesso Jorio e recuperata negli archivi dell'emeroteca Tucci. Ed è una traccia che porta non al monumentale complesso dell'Escorial ma alla Cappella maggiore del Palazzo Reale di Madrid. In un articolo apparso sulla rivista «Tempo» nel 1948, a firma del corrispondente di guerra Arnaldo Cappellini, si fa riferimento a una misteriosa missione partita da Napoli negli anni della guerra civile spagnola. Una vera «operazione San Gennaro». Nel 1939, durante le ultime fasi del conflitto e poco prima della caduta di Madrid, un cappellano torinese, don Pedro Stardero, ricevette l'incarico da un alto prelato napoletano, probabilmente il cardinale Alessio Ascalesi in persona, di recuperare la reliquia scomparsa, per riportarla a Napoli.

Don Stardero arriva a Madrid il giorno dopo l'ingresso delle avanguardie franchiste, accompagnato dal colonnello Giovanni Melotti, comandante della milizia Caccia che aveva ricevuto l'incarico di scortarlo. Madrid è un teatro di guerra, le pattuglie franchiste sparano a chiunque osi fermare la loro avanzata. Nelle vicinanze del Palazzo Reale il religioso e il colonnello vengono fermati e interrogati. Per alcuni minuti si teme addirittura il peggio. I due riescono però a giustificare la loro presenza in città e a farsi accompagnare fin dentro la Cappella, ma una volta davanti al reliquario scoprono, con sgomento, che l'ampolla che avrebbe dovuto contenere il sangue trafugato a Napoli è scomparsa. Qualcuno l'aveva già portata via. O, forse, era andata persa nelle devastazioni della guerra civile. Non possono far altro che tornare in Italia. A mani vuote.
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Ma riavvolgiamo il nastro. E torniamo a Napoli ai tempi del re Borbone. Dunque, nel 1759, Carlo fa manomettere la teca per prelevare una parte del sangue prodigioso e portarla in Spagna. Ha certamente l'autorità per farlo. E altri, probabilmente, lo hanno fatto prima di lui. A questo proposito lo scrittore Maurizio Ponticello, studioso e autore di numerosi volumi dedicati al culto di San Gennaro, cita nel libro Un giorno a Napoli con San Gennaro alcuni episodi significativi. Nel 1495 re Carlo VIII di Francia rigirò una bacchetta argentata nella boccetta per verificare che effettivamente il sangue di San Gennaro fosse ancora duro.

E nel 600 il cardinale Ascanio Filomarino fu accusato di «utilizzare la reliquia come un personale gingillo spartendone gocce, a seconda dell'umore, per gonfiare la propria boria». Ma anche in tempi più recenti, addirittura dopo la partenza di Carlo di Borbone per la Spagna, almeno una delle ampolle contenenti il sangue sarebbe stata manomessa. Il 14 dicembre 1771 re Ferdinando IV si recò con Maria Carolina alla Cappella per i solenni ringraziamenti dopo la gravidanza della regina; in quella occasione «la Deputazione - racconta Ponticello - donò a sua maestà un prezioso reliquiario d'oro con alcune scaglie coagulate del sangue di San Gennaro. Nei registri della Cappella si legge che i frammenti furono estratti da un antichissimo altro reliquiario conservato nel Tesoro, quasi a far credere che esistesse una teca, poi dispersa, dalla quale prendere a piacimento pezzi del santo e devolverli in omaggio a personalità, diciamo, di spicco».

È un vero e proprio rompicapo, anche perché c'è chi sostiene che ai tempi di Carlo di Borbone le ampolle erano già sigillate alla teca con uno speciale mastice, proprio allo scopo di evitare manomissioni che avrebbero potuto comprometterne l'integrità. Spiega Vincenzo De Gregorio, abate della Cappella del Tesoro, che «già da un secolo e mezzo prima del 1759, quando Carlo lasciò Napoli, le ampolle erano sigillate alla teca esterna, proprio per impedire la radicata abitudine di nobili e sovrani a caccia di reliquie di grattare un pezzetto del sangue».
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Eppure Carlo parte con il suo trofeo: i grumi immortali del santo martire, custoditi in un reliquiario d'oro. E se al re avessero rifilato un falso? Se a finire a Madrid fosse stato, anziché quello del divo Januarius, il sangue non prodigioso di un altro santo napoletano? Non possiamo escluderlo. «Che quello portato via da Carlo di Borbone sia vero sangue di San Gennaro non è dimostrato. E non è dimostrabile», afferma Pietro Treccagnoli, altro studioso del sangue e del culto di San Gennaro, al quale ha dedicato numerosissimi articoli.

Certo è che quello che oggi appare impossibile - manomettere le ampolle, prelevandone il contenuto - ieri non lo era affatto. Va detto che uno dei motivi che impediscono l'apertura delle ampolle - richiesta più volte avanzata dalla comunità scientifica - è proprio l'impossibilità di togliere il sigillo. Quando, negli anni 90, i ricercatori dell'Università di Pavia (team Garlaschelli) affermarono che era possibile riprodurre il miracolo in laboratorio, e chiesero pubblicamente di esaminare il contenuto delle ampolle, le autorità ecclesiastiche si rifiutarono. «Non possiamo correre il rischio - questa la motivazione - che le reliquie si deteriorino, che il contenuto si disintegri. Sarebbe come distruggere un reperto archeologico straordinario».

Non è una questione di poco conto. Gli scienziati erano riusciti a riprodurre in laboratorio il fenomeno della liquefazione del sangue partendo dall'analisi del comportamento di alcune speciali gelatine tissotropiche, in grado, cioè, di passare dallo stato solido allo stato liquido quando l'involucro nel quale sono contenute viene agitato, salvo poi tornare allo stato solido quando il contenitore viene tenuto fermo. Ricostruzione scientifica piuttosto dirompente, ma contestata dalle autorità religiose, le quali ricordano che il comportamento del sangue di San Gennaro è imprevedibile. A volte si liquefa subito all'uscita dalla cassaforte, o addirittura dentro, e altre volte non si scioglie affatto, com'è successo lo scorso 16 dicembre.

A complicare il giallo - tra tanti misteri - è intervenuta, recentemente, un'altra clamorosa scoperta. Nel marzo del 2017, senza troppi clamori, i giornali pubblicarono la notizia del ritrovamento di una presunta terza ampolla di San Gennaro (ma a questo punto sarebbe la quarta). La reliquia è custodita nel Complesso Monumentale Vincenziano al Borgo Vergini, nel cuore del Rione Sanità: a trovarla i volontari dell'associazione Gettalarete, impegnati nella risistemazione della Cappella delle reliquie. Accanto all'ampolla vi era un atto che ne garantirebbe l'autenticità: un documento del 1793 firmato dal vescovo di Ferentino, nel Frusinate, che testimonierebbe la donazione della reliquia ai padri della Congregazione della missione di Napoli. Ma che ci faceva il sangue di San Gennaro nel Frusinate? E attraverso quali tortuosi giri la preziosa reliquia - sulla cui autenticità, a ogni modo, prevalgono i dubbi - sarebbe finita nelle mani del vescovo di Ferentino? Un mistero in più nascosto tra le pieghe di una storia ultramillenaria. Una meravigliosa storia napoletana. 

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