La Gestapo, i leoni
e l'uomo murato vivo:
i fantasmi di via Tasso

La Gestapo, i leoni e l'uomo murato vivo: i fantasmi di via Tasso
di Vittorio Del Tufo
Domenica 17 Novembre 2019, 20:00
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«I morti vanno lasciati in pace»
(Giallo napoletano, 1979)
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Due città, la stessa strada, lo stesso abisso di memorie in fondo al pozzo. A Roma, in via Tasso 145, durante l'occupazione nazifascista c'era la sede della Sicherheitspolizei, ovvero la Polizia di Sicurezza o SIPO, dalla quale dipendeva la Gestapo. A Napoli, in via Tasso 615, il comando tedesco decise di installare uno dei suoi avamposti durante l'occupazione nazista. Interrogatori. Prigioni segrete. Camere di tortura.

Via Tasso 615 è l'indirizzo di Villa Spera. Un angolo di Medioevo tra la collina e il cielo. Un Medioevo da brividi, però. La dimora sembra venire incontro da un passato oscuro e leggendario, tra logge sospese, balconcini decorati, archi incrociati, motivi geometrici, torrette cilindriche e simboli esoterici, come il caduceo alato, la bacchetta portata nella mitologia romana da Mercurio. In realtà la costruzione è relativamente recente (fu progettata nel 1922) e la villa è tuttora conosciuta con il nome di Corte dei Leoni. Nome legato alla stravagante abitudine del suo primo proprietario di lasciare i leoni di casa liberi di passeggiare nell'atrio!

L'aspetto di Villa Spera, piuttosto inquietante, ha dato origine a numerose leggende, tanto che più di un regista ha deciso di utilizzarla come set cinematografico. Qualcuno l'ha addirittura paragonata alla villa del bambino urlante di Profondo rosso, la celebre Villa Scott ai piedi della collina torinese dove il maestro del brivido, Dario Argento, ha ambientato le scene più famose del suo film capolavoro. Ma per gli storici dell'architettura e gli amanti delle dimore storiche napoletane la villa di via Tasso 615, la residenza che Adolfo Avena (1860-1937) progettò per la famiglia Spera, è soprattutto un autentico gioiello dell'architettura modernista napoletana di inizio 900, una sintesi perfetta dello stile liberty con quello eclettico neorinascimentale e neoromanico.
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L'architetto che firmò questo capolavoro, Adolfo Avena, aveva fama di genio visionario. Prima di realizzare alcune tra le più belle ville stile liberty della città, soprattutto al Vomero (Villa Loreley nella prima curva di via Gioacchino Toma, Villa Ascarelli, in un tornante di via Palizzi, Palazzo Avena, o Villa Haas, ad angolo tra via Lordi e piazza Fuga) aveva presentato, con l'ingegnere delle Tramvie napoletane Stanislao Sorrentino, il progetto per una funicolare aerea fra via Toledo e il Corso Vittorio Emanuele, impiantata su un viadotto metallico di oltre 340 metri di lunghezza, sostenuto da otto pile con fondazioni indipendenti da quelle dei fabbricati vicini. L'aerovia avrebbe sorvolato tetti e terrazzi sotto lo sguardo ammirato dei cittadini. Il più grande tifoso della funicolare aerea di Avena (il cui percorso sarà ricalcato in sotterranea dalla funicolare Centrale di Daspuro e Comencini progettata nel 1923 e realizzata nel 1928) fu Gustave Eiffel, il papà della Tour, il quale si dichiarò disposto a finanziare il progetto. Erano gli anni mitici di Lamont Young, l'uomo che costruiva castelli, l'architetto-mago della dimora Aselmeyer e di Villa Ebe, l'ingegnere eclettico che scelse Napoli come teatro delle sue utopie e che si tirò un colpo di pistola in testa proprio sul terrazzo di villa Ebe, a Pizzofalcone, in una fredda sera del 1929.

Di poco più giovane di Lamont Young, Avena fu impegnato a lungo anche nell'attività di tutela dei monumenti, ed ebbe l'incarico di vigilare sui lavori del Risanamento. Nel 1908 divenne il primo Soprintendente ai monumenti dell'Italia meridionale: se ne andò sbattendo la porta dopo una campagna denigratoria.

Ma tra le tante passioni di Adolfo Avena, ve n'era una che staccava tutte le altre, fornendogli inesauribili fonti di ispirazione: il Medioevo. Fu Avena a condurre il primo importante intervento di restauro dell'Arco di Trionfo di Alfonso d'Aragona, a seguito del crollo di una delle torri di Castel Nuovo. I balconi della villa di famiglia, realizzata negli anni Dieci, ricordano quelli presenti nel campanile del duomo di Ravello. E lo stesso aspetto neoromanico di Villa Spera, in via Tasso, fa venire alla mente la «Casa di Giulietta» a Verona (attribuita ad Alberto Avena, fratello di Adolfo). Ma in via Tasso questo connubio di stile liberty e neoromanico, le decorazioni in stile medievale, il tetto che pende delicatamente verso il basso su ogni lato dell'edificio, i simboli esoterici scolpiti nella parte alta della facciata, le teste di cavallo e drago stilizzate che si guardano l'un l'altra, insomma questo gioco di rimandi a un passato mitico e leggendario producono un risultato piuttosto inquietante.

Ma non è questo l'unico motivo per il quale attorno a Villa Spera, o Corte dei Leoni, sono fiorite negli anni leggende e storie da brivido. I tedeschi, durante l'occupazione, scelsero proprio questa villa sulla sommità di via Tasso per insediarvi una delle sedi del comando nazista. Nacquero probabilmente in quel periodo le macabre dicerie sulla dimora progettata da Avena. Nel dopoguerra si diffuse una voce che divenne rapidamente leggenda metropolitana: all'interno di una parete, durante alcuni lavori di ristrutturazione, sarebbe stato trovato lo scheletro di uomo. Ed è probabilmente a questa leggenda che si sono ispirati gli sceneggiatori di Giallo napoletano, il film diretto da Sergio Corbucci nel 1979 e interpretato da Marcello Mastroianni, Michel Piccoli, Renato Pozzetto, Ornella Muti, Peppino De Filippo, e Zeudi Araya. Un professore di mandolino, ridottosi a fare il suonatore ambulante, vede i suoi esigui guadagni dilapidati al gioco dal padre. Proprio a causa del genitore il musicista si trova al centro di alcuni misteriosi delitti. Uno, in particolare, commesso proprio nella villa di via Tasso 615 durante la seconda guerra mondiale. Rischierà la pelle, ma alla fine risolverà il giallo mettendosi in tasca anche un bel po' di milioncini.

Dopo la guerra la villa di via Tasso fu abbandonata. La grande vetrata decorata a fuoco - opera del figlio di Adolfo, Carlo Avena - trafugata dai nazisti: vi era rappresentato un corteo nuziale, di epoca medievale, che si avvia verso un castello, riproduzione fedele della villa paterna. Per la dimora simbolo del neomedioevalismo napoletano cominciarono gli anni del degrado: la dimora, ridotta a un ammasso di rovine, fu sul punto di crollare e solo l'intervento di un nuovo acquirente privato riuscì a scongiurare la demolizione. Sopravvissero, e anzi si moltiplicarono, le voci e le dicerie, fino alla svolta, negli anni 80, quando la villa fu sottoposta a un radicale restauro. Da allora destinata a banchetti e cerimonie, nel 2005 è stata scelta come set anche dal regista Antonio Capuano per il suo film (pluripremiato) La guerra di Mario, con Valeria Golino, Andrea Renzi e Rosaria De Cicco. Attualmente al piano terra e al piano primo della villa si trova la sala per ricevimenti «Corte dei Leoni», nome che rievoca, come si diceva, l'abitudine del suo primo proprietario, appassionato di animali esotici, di lasciare leoni liberi di passeggiare nel giardino. La torretta cilindrica, marchio di fabbrica della dimora, ricorda invece un altro gioiellino di famiglia, oggi perduto: quel Villino Avena che sorgeva al numero 19 di via Luca Giordano e che venne raso al suolo negli anni 50 per cedere il posto a un casamento anonimo. Un'altra dimora da fiaba, quasi un castello in miniatura, dove abitò la nipote prediletta di Adolfo Avena, Adriana Capocci Belmonte, amica di gioventù di Anna Maria Ortese e immortalata dalla scrittrice con il nome di Aurora Belman nel libro Il Porto di Toledo. Ombre, storie che riemergono dal passato. E ritratti in bianco e nero di un mondo perduto.
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