Bellandi dialoga coi fidanzati:
«Vi racconto mamma e papà»

Bellandi dialoga coi fidanzati: «Vi racconto mamma e papà»
di Giuseppe Pecorelli
Mercoledì 17 Febbraio 2021, 06:15 - Ultimo agg. 08:37
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«I miei si sono sposati dopo sei mesi dal loro incontro, un colpo di fulmine. Mamma non pensava più di far famiglia, ma incontrando mio padre ebbe la sensazione di un avvenimento. Le cose più importanti nella vita non nascono per un progetto che facciamo noi. Nel sacerdozio come nell’amore coniugale c’è qualcuno che chiama». È un racconto intimo, familiare, quello dell’arcivescovo Andrea Bellandi che presiede, lunedì sera, la terza festa diocesana dei fidanzati guidando, nella parrocchia Maria Santissima del Rosario di Pompei, a Mariconda, un incontro con un rappresentanza di giovani che si preparano alle nozze (il tema è “Custodirsi nell’amore”). È lo stesso presule a rivelare che è stato don Adriano D’Amore, assistente spirituale dell’Ufficio per la pastorale della famiglia, diretto da Enrico e Maria Gallozzi, a consigliargli di parlare dell’esperienza personale dei genitori Lidia e Bruno. Le parole dell’arcivescovo sono semplici, fondate sulla vita concreta. Per questo più efficaci di una catechesi classica. «Uno stava a Firenze e l’altro a Milano - dice ancora - dopo sei mesi ebbero la percezione che si potevano fidare l’uno dell’altro, pur senza avere tutti gli elementi. Oggi invece abbiamo bisogno di assicurarci di tutto. Certo uno deve avere dei motivi per cui valga la pena rischiare oltre quello che uno ha in mano. I miei si sono sposati e non avevano casa. Sono stati diversi mesi in pensione, poi piano piano hanno preso un appartamento».

Poco prima tre coppie di ragazzi - Marco e Maria, Stefano e Laura e i giovanissimi Martina e Alessandro, appena diciannovenni - avevano proposto una breve testimonianza della loro storia d’amore chiedendo all’arcivescovo alcuni consigli. E, nelle risposte di monsignor Bellandi, tornano le tre parole per l’armonia della famiglia (una famiglia sempre accogliente) indicate da Papa Francesco: permesso, scusa e grazie. «Nei miei genitori - ricorda - le ho sentite vive. Hanno vissuto cinquant’anni insieme, unitissimi. Permesso. L’altro è un mistero in cui occorre molta accortezza per entrare, anche dopo venti o trent’anni. L’altro rimane altro. Dialogare e confrontarsi, sapersi ascoltare, anche correggersi. I miei hanno litigato poco, ma le poche volte in cui è successo, li ho visti avere la semplicità e l’umiltà di chiedere scusa. E poi grazie. Qualsiasi gesto non è mai dovuto, un fatto scontato». La fede «era un fattore presente nella loro vita e coincideva con una positività del vivere. Non li ho mai sentiti accusare le circostanze, le cose che non andavano bene, recriminare». Essere padri e madri porta anche a capire che il figlio non è una proprietà dei genitori. «Un giorno - prosegue l’arcivescovo - gli ho detto: io entrerei in seminario. Decisione non condivisa perché inaspettata, ma accettata con senso della libertà. I figli non saranno vostri, ma seguite sempre il loro passo libero». 

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