Restano sopra i 3mila i contagi nel salernitano, nonostante la due giorni di fisiologico calo dei tamponi processati a cavallo di capodanno. Sono 3mila 189, infatti, i positivi nella settimana dal 30 dicembre al 5 gennaio scorso, che portano la conta complessiva a 458mila 755 casi dall'inizio della pandemia in provincia. Attualmente, il tasso di incidenza si attesta a quota 309 casi ogni 100mila abitanti. A inizio ottobre, il tasso di contagiosità si attestava a 246 casi ogni 100mila abitanti, passando poi a quota 322 nella settimana dal 3 al 9 ottobre e a 366 casi in quella successiva. Per capire l'andamento della curva epidemiologica bisogna riavvolgere il nastro a giugno, quando negli ultimi 15 giorni del mese si è passati da 360 a 730 nuovi casi ogni centomila abitanti, con un preoccupante picco dei contagi Covid e una impennata dei positivi che toccò il 100 per cento.
Guardia ancora alta, dunque, perché il Covid, nonostante la minor letalità, non è un'influenza, uccide ancora 4 volte tanto l'influenza ed è la causa del 95 per cento dei decessi negli ultrasessantenni. La vera influenza, rispetto ad altri casi, si riconosce per febbre con temperatura elevata, a comparsa brusca, sintomi respiratori o bruciore agli occhi e almeno un sintomo extra respiratorio (come dolori muscolari, mal di testa, spossatezza). Si stima che i casi nel salernitano possano arrivare a 127mila. Un dato in crescita rispetto agli scorsi anni, come dimostrano anche le osservazioni sull'emisfero australe. Dobbiamo poi considerare l'aumentata quantità di virus respiratori e la minore esposizione della popolazione a microorganismi patogeni come virus e batteri negli ultimi due anni, da ricondurre alle restrizioni sociali adottate nelle stagioni precedenti, che ha non solo ridotto la diffusione del Sars-CoV-2, ma anche quella degli altri virus influenzali.
Sono intorno ai 14mila i salernitani messi a letto dal virus nell'ultima settimana dell'anno, circa 2mila in meno rispetto ai sette giorni precedenti.
Sono circa una trentina i camici bianchi che mancano all'appello nel solo pronto soccorso del Ruggi. Di questi, una quindicina per la medicina d'urgenza, a cui vanno aggiunti i medici di chirurgia d'urgenza e ortopedia. Sono almeno il doppio, invece, gli specialisti che andrebbero destinati all'emergenza in provincia. Al Ruggi, poi, risultano sold out i 30 posti letto di malattie infettive. Il sistema delle degenze Covid, inoltre, è ancora più in difficoltà dopo l'incendio che ha interessato il Covid-hospital di Scafati qualche settimana fa, con la conseguente riduzione della capacità ricettiva. A causa della carenza di posti in ospedale, i pazienti in attesa di ricovero bloccati in pronto soccorso crescono giorno per giorno. Spesso persone adulte, che non trovano risposte sul territorio, prese dal panico per una febbre alta o mal di testa che durano da tre giorni, si rivolgono al pronto soccorso. Il medico di famiglia è la figura più adatta a cui rivolgersi, tenendo anche conto che la febbre, in caso di influenza, è normale che possa durare cinque giorni.
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