Scafati, la Cassazione conferma
il carcere duro per il boss Matrone

Scafati, la Cassazione conferma il carcere duro per il boss Matrone
di Nicola Sorrentino
Martedì 4 Maggio 2021, 11:37 - Ultimo agg. 19:58
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Resta in regime di 41 bis, al carcere duro, il boss di Scafati, Francesco Matrone, ritenuto organico in passato al clan della Nuova Famiglia e poi a capo di un gruppo omonimo a Scafati. La decisione è stata presa dai giudici della Cassazione, che hanno rigettato il ricorso presentato dalla difesa per inammissibilità. Con le motivazioni ora pubbliche, si comprende anche il ragionamento dei giudici, che ricordano «il ruolo chiave assunto dal ricorrente nello sviluppo e nella gestione dell'attività delittuosa del clan camorristico da lui stesso capeggiato, uso alla violenza e al compimento di azioni di estrema ferocia, secondo quanto già giudizialmente accertato».

Per la Cassazione, insomma, il clan Matrone sarebbe ancora operativo in zona, come pure risulterebbe dalle ultime inchieste della Dda di Salerno.

Il regime del carcere duro viene prorogato per due anni e tiene conto per la sua applicazione non solo della persistenza dell'associazione e dei contatti con il detenuto, ma anche della capacità di mantenere i collegamenti a loro volta legati da parametri specifici. E ancora, il profilo criminale, la posizione rivestita all'interno dell'associazione, l'operatività di quest'ultima, la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, gli esiti del trattamento penitenziario e il tenore di vita dei familiari. Tutte circostanze che secondo la Cassazione non «costituiscono elemento sufficiente a escludere la capacità criminale», dopo valutazione. Nella tesi dell'accusa c'era anche il contenuto di verbali di collaboratori di giustizia dei clan di Scafati, che avrebbero associato il nome di Matrone a quelli più autorevoli. Matrone era stato arrestato nel 2012, dopo un lungo periodo di latitanza durato cinque anni. L'arresto avvenne ad Acerno, dopo un'indagine condotta dai carabinieri di Salerno. La decisione della Cassazione ha così confermato il regime di massima sicurezza, tenendo conto dello status criminale e degli elementi venuti fuori da successive e precedenti indagini. 

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