C'è un episodio che meglio illustra il cambio di strategia del clan Fezza-De Vivo nel gestire il traffico di droga a Pagani. Lo racconta il contenuto di un'intercettazione ambientale nell'inchiesta della Dda, quando gli investigatori registrano l'arrivo in casa di Giacomo De Risi - uno dei capi pusher - di Francesco Fezza, Andrea De Vivo e Daniele Confessore. Siamo a novembre 2020. De Risi, ristretto ai domiciliari, è spaventato dalla presenza dei tre: «Ti vedo bianco di faccia, bevi un po' d'acqua» dice Confessore, «Guarda come sta!». De Vivo e Fezza, poi, chiariscono il motivo della visita: «Non ti preoccupare, ci dai una cosa di soldi in più, Giacomì siediti un po' che dobbiamo parlare».
Per il gip l'episodio rimarca la «forza intimidatrice esibita dal Sistema, De Risi teme per la sua incolumità fisica, dimostrando così anche la sua condizione di assoggettamento».
Nello specifico, per un'estorsione nei riguardi di una nota ditta d'imballaggio. Con lui sono coinvolti anche Salvatore Giglio e Salvatore Casillo, emissari e cassieri del gruppo. La tangente varia «dai 3 ai 5mila euro«. «Si sta comportando sempre normalmente, tranquillo?» domanda il boss Giugliano. I soldi saranno consegnati - per la Dda - in un bar di Pagani. Lo confermerà Giglio: «Tutto bene, ha dato, come avete detto». Giugliano si interessa anche di una ditta di trasporti di Pagani. L'incontro per la consegna dei soldi avverrà allo svincolo autostradale dell'A30. Uno dei sodali riceve 3000 euro ma la vittima si scusa: «Per ora arrangia, le cose non stanno, lo sai pure tu».
Il clan di Pagani ha però una grossa disponibilità anche di armi. Non lo dimostra solo il blitz del 30 maggio 2019, quando la Finanza scoprì un arsenale fatto di pistole, fucili e mitra in un garage in via Garibaldi a Pagani e per il quale andranno sotto processo decine di persone. Un arsenale riconducibile - secondo le accuse - a Francesco Fezza. A questa segue un'altra scoperta, quando i carabinieri intervengono per una lite familiare. In casa di Antonio Fisichella vengono sequestrate una pistola mitragliatrice, un revolver e 56 proiettili. Dall'ascolto di alcune intercettazioni, dove Giacomo De Risi racconta la circostanza ad un altro indagato, si scopre che quelle armi sono proprio del clan. Così come del tentativo da parte di un esponente dei D'Auria-Petrosino - messi in disparte dal gruppo Fezza-De Vivo - di prendere un mitra ed un fucile a pompa. È a quel punto che interviene Andrea De Vivo, che ordina di non consegnare nulla. «Chiamai a Daniele - racconta De Risi - disse ha detto lo zio, vuole un mitra e un fucile a pompa, questi stavano a guerra? Andò Andrea da Fisichella gli disse dove lo tieni atterrato?». Il passaggio è coperto da omissis e paventa la possibilità di uno scontro armato con la fazione avversa a quella dei Fezza-De Vivo.