Il fenomeno #veganuary ritorna in Italia

Il Veganuary, fondato dall’omonima organizzazione no-profit britannica, ha coinvolto solo lo scorso anno 629.000 partecipanti

È davvero possibile un futuro vegano? Dati, numeri e studi sulla dieta vegana in Italia
È davvero possibile un futuro vegano? Dati, numeri e studi sulla dieta vegana in Italia
di Aurora Alliegro
Sabato 14 Gennaio 2023, 00:30
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A dieci anni dalla fondazione del movimento del Veganuary, l’iniziativa che ogni anno avvicina migliaia di persone in tutto il mondo alla sperimentazione della cucina vegetale, la percentuale di vegani in Italia ha improvvisamente conosciuto un ribasso rispetto ai tre anni immediatamente precedenti. D’altra parte, occorre ricordare che la mutabile onda di consensi nei confronti della dieta plant-based, nonostante le leggere variazioni, è rimasta pressoché stabile a quota 1-3% tra il 2016 e il 2022 (dati Eurispes). Un parziale successo, quindi, che si potrebbe associare in qualche misura agli effetti della campagna mediatica del Veganuary, attiva proprio a partire dal 2014, quando in Italia la percentuale di vegani ruotava intorno allo 0,6%.

Il Veganuary, fondato dall’omonima organizzazione no-profit britannica, ha coinvolto solo lo scorso anno 629.000 partecipanti. L’Italia, dove i vegani sarebbero circa 800.000 secondo le rilevazioni Eurispes, si è assestata quinta per numero di adesioni nel 2022 (dopo gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’India e la Germania). La campagna volta alla promozione dell’alimentazione vegana ha anche coinvolto gradualmente attività commerciali, ristoranti e catene di alimentari. Persino multinazionali come Domino, McDonald, Burger King e Starbucks, avendo fiutato l’affare, hanno inserito alternative vegane nei loro menù.

In Italia è Essere Animali, l’organizzazione italiana per i diritti animali, a guidare la popolazione in direzione dell’alimentazione plant-based. Con il fine di dimostrare che la cucina vegana possa rivelarsi facile, buona e finanche conveniente, a gennaio Essere Animali propone ai propri iscritti ricette, menù settimanali e consigli nutrizionali per accompagnare i partecipanti attraverso il percorso di sperimentazione della dieta vegetale, con la speranza di trasformare un esperimento di breve durata in stile di vita duraturo.

Per disvelare il profilo dei seguaci dell’alimentazione vegetale in Italia, ci siamo avvalsi del Rapporto per l’Italia 2022 di Eurispes, in cui si fa luce sulle abitudini culinarie della popolazione italiana.

Le più recenti rilevazioni Eurispes attestano la quota di vegani intorno all’1,3%, mentre i vegetariani costituirebbero il 5,4%.

Se, da una parte, il maggior numero di vegani rientrerebbe tra i 18 e i 24 anni, i vegetariani, invece, avrebbero séguito tra fasce d’età più diversificate, dai 18 fino ed oltre i 65 anni.

Rispetto alla provenienza geografica, la maggioranza dei vegani individuati vive nell’Italia centrale (2,2%) e nelle regioni a ovest del Nord Italia (1,9%). Il Meridione, nonostante il forte legame della propria tradizione culinaria con alimenti di origine animale, supera a sorpresa le aree insulari (0,9%) e quelle a Nord-Est (0,0%). Ne emerge dunque un quadro in cui sembra sia l’area Nord-Ovest del Paese a fare da forza motrice verso le diete vegetali.

I risultati pubblicati da Eurispes indagano inoltre la complessa relazione tra livello d’istruzione e regime alimentare. Sembra infatti che le probabilità di scegliere una dieta vegetale siano direttamente proporzionali al grado di istruzione conseguito dai soggetti. Le indagini tuttavia lasciano in ombra altre variabili che potrebbero avere un peso decisivo sulle scelte alimentari, tra cui le condizioni socio-economiche di appartenenza.

Tra gli obiettivi intrinsechi al Veganuary rientra la volontà di abbattere i pregiudizi che ruotano intorno alla scelta dell’alimentazione vegetale. Stando alle rilevazioni Eurispes, un italiano su cinque ritiene che la scelta di un’alimentazione vegetale combaci spesso con fanatismo e intolleranza. Quasi tre persone su cinque, inoltre, non credono che l’alimentazione vegetale sia utile alla tutela di ambiente e animali. Si tratta di risultati sorprendenti se si considera che un’ampia successione di studi accademici ed evidenze scientifiche ha ripetutamente confermato e dimostrato gli incontestabili benefici della dieta vegana.

Posizioni di questo genere non sono estranee a un certo filone della stampa italiana, che ha talvolta paragonato la dieta vegana a forme di “integralismo”, “ideologia alimentare” o vera e propria “religione” poste in contraddizione con la consacrata – pur opinabile – teoria secondo cui abitudini culinarie ancestrali avviate sin dall’età della Pietra non possano essere surrogate con alternative moderne, da ritenere “contro-natura”.

In questa diatriba, la scienza si erge a supporto della scelta vegana. Gli studi congiunti dei ricercatori dell’Università di Oxford e dell’Università del Minnesota, confluiti nell’articolo “Multiple health and environmental impacts of foods” (2019), hanno dimostrato che l’alimentazione vegetale, oltre ad avere un minore impatto ambientale rispetto a quella onnivora, comporta una serie di significativi benefici per la salute. Si è dimostrato inoltre che il consumo di carni rosse e di carni processate sia associata a maggiori rischi per il benessere del pianeta e dei consumatori. Su questo punto, uno dei coautori dello studio, Marco Springmann, ha sottolineato come i risultati della ricerca abbiano ampiamente comprovato i numerosi vantaggi del processo di sostituzione di carne e latticini con alimenti a base vegetale.

D’altra parte sono ormai noti gli orrori (non più) celati oltre i muri degli allevamenti intensivi di tutto il globo, in cui sovraffollamento, malattie e maltrattamenti sono ormai parole d’ordine. Proprio a tal proposito è recente la messa in onda dell’inchiesta di Report sugli allevamenti intensivi della Fileni.

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Le problematiche legate all’allevamento – in particolar modo quello intensivo – sono molteplici. Gli allevamenti danno origine al 44% delle emissioni antropiche di metano, costituendo un grave pericolo non solo per l’ambiente, ma anche per la salute umana. Uno studio del New York Times ha poi dimostrato l’ingente utilizzo di acqua necessario alla produzione di proteine animali, citando il caso della California, area affetta da una gravissima siccità in cui la stragrande maggioranza delle risorse di acqua è impiegata nell'allevamento. Si tratta di una questione di immediata urgenza se si considera che secondo le stime correnti nel 2050 più di 5 miliardi di persone non avranno un adeguato accesso all’acqua per almeno un mese all’anno. Senza contare poi i drammatici effetti della deforestazione, la produzione di agenti inquinanti e la contaminazione dei mari e dei terreni, fenomeni ampiamente connessi ai sistemi di allevamento industriale. 

Ciò che emerge da quanto sinora presentato è un quadro dalle sfumature fuligginose, in cui la linea tratteggiata dall’alimentazione vegetale apparrebbe l’unica strada verosimilmente percorribile. Ma è davvero possibile un futuro tutto vegano? Se il fronte degli scettici resta tutt’ora piuttosto robusto, aumentano in numero anche coloro che già immaginano un tempo in cui il consumo della carne non resterà che uno sbiadito ricordo, come rappresentato nel mockumentary della BBC “The Carnage” (2017), capolavoro d’ironia e visione. 

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