Fino a ottomila euro al mese nelle tasche di un pusher minorenne. Stipendio da manager di una multinazionale per un ragazzino di 16 anni, finito in cella appena qualche mese fa per un delitto orrendo: l’omicidio dell’amico di infanzia, il 20enne Gennaro Ramondino. Inchiesta della Dda di Napoli, la svolta davanti a giudice e pm: il ragazzino confessa di aver ucciso l’amico, di aver obbedito all’ordine del «contesto», o meglio del boss del clan di appartenenza.
Ribadisce di aver impugnato la pistola, di aver fatto fuoco «ma senza aver preso la mira, nel tentativo di spaventarlo», dopo aver superato una sorta di contrasto interiore, perché «non volevo ucciderlo - ha spiegato - Gennaro era amico mio di infanzia, in pratica stavo giorno e notte assieme a lui». Poi il riferimento al clan: «Stavo “a contesto”, quello che era il mio capo mi ha detto che dovevo essere io ad uccidere Gennaro, perché ero minorenne e la pena per me sarebbe stata sicuramente più bassa».