Monica Bellucci dopo la vittoria a Cannes:
"Nel nuovo cinema c'è bisogno delle donne"

Monica Bellucci durante la cerimonia di premiazione
Monica Bellucci durante la cerimonia di premiazione
di Titta Fiore inviato a Cannes
Lunedì 26 Maggio 2014, 19:59 - Ultimo agg. 29 Maggio, 11:55
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Al festone di chiusura del festival Monica Bellucci racconta la gioia della vittoria nel piccolo clan Rohrwacher dopo la tensione dell’attesa: «A mano a mano che si andava avanti e si prospettava un premio sempre più importante per Alice, tra noi l'emozione cresceva». Nel film che ha riportato l’Italia nel palmarès di Cannes con il Grand Prix du Jury, a un passo dalla Palma d’oro, la diva è un’apparizione, una teleconduttrice vestita di bianco e oro, incarna un sogno. Un ruolo piccolo, ma fortemente iconico. «I piccoli ruoli non esistono», puntualizza lei, «conta l’intensità del personaggio. Non ne arrivano tante, di storie belle come ”Le meraviglie”».

Com’era l’atmosfera sul set»?

«Magica, quando la parte è giusta e sei diretta bene, tutto ti protegge. Il cinema è un’opera collettiva, da soli non si fa niente. E, in ogni caso, non è mai finita».

Uno studio continuo.

«Non mi metto a tavolino a studiare, provo ad essere me stessa. La ricerca personale può essere anche sofferta, ma tengo sempre presente la lezione di Mastroianni: recitare è un gioco meraviglioso».

A Cannes si è affermata una nuova generazione di donne registe.

«È fantastica questa ventata di freschezza, c’è bisogno delle donne per riequilibrare i poteri. Le donne sono sapienti perché vengono da una realtà di grande sofferenza. Siamo tutte delle schiave liberate».

Si discute molto di differenza di genere e pari opportunità. Che ne pensa?

«Dico che non dobbiamo diventare asessuate o mascoline per essere rispettate. La femminilità merita rispetto. Abbiamo tempi più lenti del maschio, e allora? È vergognoso essere penalizzate per il fatto di essere donna».

Vale anche per le attrici?

«Quando ero giovane un produttore mi disse che le donne destinate a restare nel sogno non dovevano avere figli: ”E tu sei una di quelle”. Il senso era: se vuoi che la tua carriera duri, devi fare così. Naturalmente si sbagliava. Non si perde niente quando si aspetta un bambino. I ruoli puoi averli tutta la vita, i figli no».

Come dev’essere un ruolo per piacerle?

«Non necessariamente legato alla bellezza. A cinquant’anni non puoi fare la parte di una di venti. Se una cinquatenne volesse interpretare ”Il tempo delle mele” sarebbe da ospedale psichiatrico».

Molte sue colleghe passano alla regia, lei è tentata?

«No, ho ancora tanto da imparare nel mio lavoro... Nel prossimo film, ”Ville Marie” di Guy Edon, interpreto un’attrice che deve confrontarsi con il proprio passato. Un bel personaggio, non vedo l’ora».

In Bosnia ha girato «The Milky Way» (La via lattea), che segna il ritorno sul set di Kusturica dopo sette anni, anche come attore.

«Sì, ho lavorato già tre mesi e da giugno a settembre ci tornerò. È una storia d’amore sullo sfondo della sanguinosa guerra nella ex Jugoslavia negli anni Novanta, una corsa per la sopravvivenza. Lui è un lupo solitario, io una donna serba con origini strane. Kusturica è molto creativo, un uomo eclettico, ha un’energia inesauribile. Conviverci può essere anche duro, ma è comunque interessante. Mi fa fare cose complicate, però è il primo a mettersi in gioco ed è difficile non seguirlo».

A settembre compirà cinquant’anni.

«Forse sarà l’unico compleanno che festeggerò. È un bel traguardo: intanto perché sono viva, poi ho due bambine di dieci e quattro anni da crescere, hanno ancora bisogno di me».

Molti film di Cannes raccontavano la crisi di un sistema economico, politico, sociale.

«La crisi riguarda tutti i Paesi, ovunque avverto questa forma di rassegnata malinconia. Negli anni Ottanta ci avevano fatto credere che diventare ricchi e famosi fosse il segreto per essere felici, ci siamo accorti che non è così».

Ha detto che avrebbe votato alle elezioni europee.

«Certo, se non si fa niente, gli altri votano per noi».

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