Vincent Cassel contro i doppiatori: "In Italia
sono una mafia". Poi arriva la risposta

Vincent Cassel
Vincent Cassel
Martedì 15 Marzo 2016, 19:37 - Ultimo agg. 17 Marzo, 12:12
2 Minuti di Lettura
"I doppiatori in Italia sono una mafia, per questo è complicato vedere un film in lingua originale": sono le parole di fuoco dell'attore francese Vincent Cassel, intervistato a Roma dall'AdnKronos in occasione dell'uscita in Italia, il 24 marzo, del film 'Un momento di follia', diretto da Jean-Francois Richet.

Un film che l'attore definisce "una commedia drammatica" e che deve parte di questo "drammatica" all'ambientazione in Corsica, che nella versione italiana perde però di significato, anche per una mancata resa del ritrovato accento corso del personaggio interpretato da Francoise Cluzet. "Il doppiaggio c'è anche in Francia -prosegue Cassel- ma i doppiatori non hanno il potere come se fossero loro che fanno il cinema, ci sono i creatori e i doppiatori, i doppiatori fanno il doppiaggio. Quando c'è uno sciopero dei doppiatori il cinema non si ferma".

In 'Un momento di follia' Cassel e Cluzet sono amici di lunga data che da Parigi vanno in vacanza in Corsica, nella casa natale di Cluzet, con le due figlie, una appena maggiorenne e l'altra ancora per poco minorenne. Fra Cassel e la figlia, minorenne, dell'amico scatta un momento di follia, che lei vorrebbe trasformare in un rapporto stabile e lui nascondere e dimenticare.

LA REPLICA  "Il signor Cassel è male informato, non c'è alcuna mafia nel mondo dei doppiatori italiani. Siamo una categoria di professionisti che fa onestamente il proprio lavoro e che certe volte rende giustizia ad un film con bravissimi attori: lo rendiamo in italiano senza sfigurarlo". Lo afferma all'Adnkronos Roberto Stocchi, doppiatore e direttore del doppiaggio, 'voce' italiana di Klaus, il pesce rosso in 'American Dad!', di Michael Chiklis in 'No Ordinary Family' e di Zach Galifianakis nella trilogia di 'Una notte da leoni'.

"Il signor Cassel -aggiunge Stocchi dovrebbe informarsi un po' meglio, da noi non c'è alcuna mafia. Il nostro lavoro va a coprire una lacuna che si riscontra in una fetta del mercato formata da spettatori che non conoscono le lingue come ad esempio gli anziani. Spettatori che, altrimenti, non potrebbero vedere alcuni film. Ci sono, d'altronde, pellicole che appartengono a culture orientali, come quella giapponese o araba, difficili da seguire con i sottotitoli. La nostra categoria si difende da sola, non perché è una mafia ma con la qualità del suo lavoro".
© RIPRODUZIONE RISERVATA