Festival di Cannes, la Palma d'Oro va in Corea: Banderas miglior attore

Festival di Cannes, la Palma d'Oro va in Corea: Banderas miglior attore
di Titta Fiore
Domenica 26 Maggio 2019, 08:00
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CANNES - Per la prima volta, la Palma d'oro va a un regista della Corea del Sud, Bong Joon-ho, un cinefilo appassionato che si è nutrito con il cinema di Chabrol e di Clouzot, ma deve conoscere molto bene anche i film italiani dei tempi d'oro: «Parasite», infatti, è una commedia nera sulle contraddizioni delle società metropolitane, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono condannati ad accontentarsi delle briciole. L'upper class su, in un villone domotico, asettico come una sala operatoria. I reietti giù, nello scantinato in fondo a un vicolo dove vanno a urinare gli ubriaconi. La lotta di classe del terzo millennio comincia con l'allaccio abusivo al wifi dei vicini e finisce in tragedia, tra colpi di scena e trovate «tarantiniane», quando i due universi paralleli entrano in contatto. Nella scena clou parte a palla «In ginocchio da te» di Gianni Morandi, che per il regista è un mito («Vorrei conoscerlo», e il cantante rilancia: «Vengo in Corea»). Applausi e risate ad ogni proiezione. Due anni fa Bong Joon-ho portò a Cannes «Okja», il primo film Netflix proiettato sulla Croisette, aprendo senza saperlo la strada alle polemiche sulle piattaforme dello streaming.

Per la prima volta, il verdetto è nel segno delle donne registe. Certo, Jane Campion resta ancora l'unica cineasta ad aver vinto la Palma con «Lezioni di piano», ma il tasso di autorialità femminile in una rassegna accusata più volte di dare poco spazio alla creatività di genere è un bel passo avanti. Céline Sciamma, che ha firmato con «Portrait de la jeune fille en feu», un'intensa storia d'arte e d'amore lesbo ambientata nel Settecento, sembrava in pole position per il riconoscimento maggiore, invece la giuria guidata dal messicano Alejandro Gonzalez Inarritu l'ha premiata per la sceneggiatura. Mati Diop, autrice franco-senegalese al debutto dietro la macchina da presa, porta a casa il prestigioso Grand Prix con «Atlantique», che racconta il dramma dei migranti nella disperazione di chi parte e nel dolore di chi resta ad aspettare un ritorno che forse non ci sarà. L'austriaca Jessica Hausner, lanciata dall'algido «Lourdes», trova posto nel palmarès grazie alla protagonista del suo «Little Joe», fantascienza prossima ventura in cui il polline di una piantina geneticamente modificata ha il potere di «disumanizzare» la gente: a Emily Beecham, infatti, va il premio per la migliore attrice.
 
Inseguendo la sua prima Palma d'oro Pedro Almodovar, già favorito dai pronostici, deve «accontentarsi» del premio all'amico e attore-feticcio Antonio Banderas. Ed è proprio il divo a ricordarlo sul palco del Palais e a dedicargli la targa che suggella un sodalizio artistico e umano lungo quarant'anni. A Jean-Pierre e Luc Dardenne va la Palma per la regia di «Le jeune Ahmed», un viaggio asciutto, rigoroso, negli ambienti in cui nasce e prospera il fondamentalismo in Belgio. I fratelli registi, già vincitori di una doppia Palma d'oro con «Rosetta» e «L'enfant» e di un Grand Prix con «Il ragazzo con la bicicletta», sono i soli rappresentanti della vecchia guardia a salire sul palco. Per il resto, niente per Loach, niente per Almodovar, niente per Malick e niente per Tarantino (peccato). Resta a mani vuote anche l'Italia che ha portato in concorso il potente affresco di Marco Bellocchio, «Il Traditore»: accolto con grandi applausi e recensioni molto positive dalla stampa straniera, il film è già stato venduto in oltre 24 paesi, dall'America alla Cina all'Australia, è richiesto dagli esercenti e non dovrebbe avere rivali nella prossima candidatura agli Oscar.

«Abbiamo avuto il privilegio di vedere le opere di grandi maestri capaci di raccontare cosa succede nel mondo» ha detto Inarritu, «e abbiamo deciso sapendo di rappresentare solo noi stessi, il verdetto finale toccherà al pubblico». Il Prix du Jury si sdoppia, sinonimo di discussioni vivaci: alla fine lo ritirano in due, Ladj Ly per «Les Misérables», ambientato nella banlieue parigina, e il brasiliano «Bacurau» dell'ex critico Kleber Mendonca Filho e Juliano Dornelles. Al palestinese Elia Suleiman va una Menzione speciale (che sa tanto di contentino). La Palma d'oro, invece, tiene a precisare il presidente affiancato dall'icona Catherine Deneuve, è stata assegnata all'unanimità.
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