Cannes applaude «Il traditore» di Bellocchio: «Ebbe coraggio ma non fu un eroe»

Cannes applaude «Il traditore» di Bellocchio: «Ebbe coraggio ma non fu un eroe»
di Titta Fiore
Venerdì 24 Maggio 2019, 11:00
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CANNES - Nell'anniversario della strage di Capaci, Marco Bellocchio porta in concorso a Cannes il suo film su Tommaso Buscetta, «Il Traditore», da ieri in sala in 350 copie, una grande cifra per gli standard italiani, ma l'attesa è altissima e la domanda degli esercenti forte come ai tempi d'oro del nostro cinema. Per la prima volta il maestro dell'indagine psicanalitica si confronta con sparatorie e delitti raccontando, attraverso la vita del Boss dei Due Mondi, un pezzo di storia d'Italia. Dice: «Volevo fare un film popolare, ma fuori dai cliché delle storie di mafia, un film con un proprio stile, una forma. Palermo con i suoi fatti di sangue era quanto di più lontano da me che vengo da Piacenza. Ho letto molto, mi sono documentato e piano piano mi sono impadronito di questa figura tragica». Chi era, dunque, Buscetta, che idea se n'è fatto il regista? «Certo non era un eroe, ma un uomo coraggioso sì e il suo coraggio mi ha colpito, forse perché io non ne ho tanto. Rischia la vita, ma non vuole essere ucciso in una guerra di mafia che non condivide. Difende il passato, la sua tradizione di uomo d'onore e non accetta di essere considerato un pentito».
 
Puntando su temi capitali come il tradimento, la teatralità dei comportamenti e la tragedia dell'essere padre, lui che sui tormenti dell'essere figlio ha basato una filmografia, il regista ha costruito un racconto potente e asciutto («i delitti» dice, «sono sbrigativi»), in alcune scene sontuoso come «Il Padrino», sospeso tra cronaca ed epica, accolto alla proiezione ufficiale con tredici minuti di applausi. Al centro, l'oscura fascinazione esercitata «da un personaggio di grande personalità e carisma» che con le sue dichiarazioni al giudice Falcone rivelò la struttura dell'organizzazione mafiosa e le verità nascoste della guerra scoppiata negli anni Ottanta tra i corleonesi di Totò Riina e i capi del vecchio potere criminale. Nei panni del protagonista Pierfrancesco Favino è addirittura mimetico, la sua aderenza al ruolo è di una precisione impressionante. «Buscetta ha costruito la sua leggenda, era un uomo vanitoso e un fine stratega della comunicazione, a ben guardare sappiamo di lui solo quello che ha voluto sapessimo e non è un caso se ha cominciato a fare interventi di chirurgia plastica prima ancora di essere ricercato», racconta l'attore. «Quando scappa in Brasile si costruisce un mito che non ha mai smesso di alimentare, fatto di un certo romanticismo, idealismo e amore per la famiglia. Mi sono sempre chiesto a cosa credere e a cosa no. Non credo all'amicizia con Falcone, tra loro c'era rispetto siciliano. Buscetta non veniva da una famiglia mafiosa, a 17 anni era entrato in Cosa Nostra sapendo che da quell'organizzazione si esce in un solo modo. Al maxiprocesso parlava almeno a quattro livelli d persone e si è portato nella tomba buona parte dei suoi segreti».

Nel cast Fausto Russo Alesi è Falcone («Bellocchio mi ha chiesto di scavare la sua biografia per costruire con libertà un ruolo complesso»), Luigi Lo Cascio uno straordinario Totuccio Contorno («un soldato di mafia che parla il siciliano strettissimo della Calza, incomprensibile al regista, mi ha diretto sulla fiducia»), mentre Maria Fernanda Candido è la moglie brasiliana di Buscetta e dà del lavoro sul set la definizione più sintetica ed efficace: «Marco ha rigore e libertà, è un artista che non ha paura del silenzio e delle contraddizioni, una dote rara». Per interpretare il Boss dei Due Mondi Favino è ingrassato di otto, nove chili: «Non è virtuosismo, mi serviva per ricordare la ruralità della mafia. L'aria tozza, lo stomaco rotondo e quei chili in più mi hanno cambiato il modo di respirare e di guardare. Per Buscetta gli occhi degli altri sono importantissimi, la sua fisicità è legata anche a come gli altri la percepiscono». Sulla polemica con il figlio Antonio Montinaro, uno degli uomini della scorta di Falcone uccisi a Capaci che aveva definito «operazione di marketing» l'uscita del film nel giorno dell'anniversario, l'attore taglia corto: «Uno scambio di battute via social durato venti secondi, tutto finito prima ancora di cominciare».

Bellocchio ricorda la sua prima volta a Cannes con «Il gabbiano»: «La pellicola si ruppe e il film non fu proiettato. Poi ci rifacemmo con Salto nel vuoto, in giuria c'era Rondi, che pur essendo di destra, si battè per far premiare Michel Piccoli». Grande appassionato di storica politica, con «Il Traditore» completa una sorta di trilogia cominciata con «Buongiorno, notte» sul caso Moro, e «Vincere» su Mussolini. In Italia, dice, non si fanno più film di impegno civile «perché la tv ha ammazzato tutto. Se vuoi provarci, non devi inseguire la convenzione televisiva».
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