Abel Ferrara: «Il mio Padre Pio santo, ribelle e poeta»

Abel Ferrara: «Il mio Padre Pio santo, ribelle e poeta»
di Titta Fiore
Venerdì 2 Settembre 2022, 08:35 - Ultimo agg. 3 Settembre, 08:08
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Venezia

Abel Ferrara, il regista americano di «Pasolini» e «Il cattivo tenente», dice di aver scoperto lavorando a Napoli una decina di anni fa a un documentario sulla città la popolarità di Padre Pio: «Trovavo la sua immagine ad ogni angolo di strada, lo vedevo dappertutto, era il santo di ogni ribelle». Ora ha dedicato al monaco santo di Pietrelcina un film che porta il suo nome e che passa nella sezione collaterale delle Giornate degli Autori. Protagonista Shia LaBeouf, racconta il cappuccino nell'anno più difficile, il 1920, quand'era sotto attacco del Sant'Uffizio, mettendo le sue vicende in parallelo con la strage di contadini e operai avvenuta a San Giovanni Rotondo all'indomani delle prime elezioni vinte dalla sinistra e negate dalla destra al potere nel paesino dominato da preti e proprietari terrieri. Tredici morti, una tragica anticipazione del fascismo che di li a poco sarebbe venuto.

Perché questo accostamento? «Perché non si può parlare dell'uno senza l'altro.

Le stimmate vengono fuori nel momento stesso in cui tutto questo accade, sono una sorta di monito delle cose terribili che stavano per arrivare». E perché un maestro del cinema indipendente e d'azione del suo calibro ha scelto di portare sullo schermo la storia del santo? «Non è importante il perché, ma quando: ho cominciato ad interessarmi alla figura di Padre Pio grazie a mio nonno, che era nato a Sarno, un paesino vicino a Pietrelcina, in quegli anni. Mi ha sempre affascinato la sua umanità, il travaglio interiore, la semplicità dell'uomo. Diceva di sé che era un semplice monaco, e anche scarsamente istruito, ma in realtà non era vero. Aveva una personalità profonda e brillante, lo testimoniano le bellissime lettere che mi hanno fatto pensare agli scritti di Pasolini».

Nelle scene più potenti del film Abel Ferrara ricostruisce il travaglio spirituale del santo e l'intensità della sua celebrazione eucaristica. Nel finale le mani piagate dalle stimmate del Cristo sceso dalla croce si incrociano con quelle del cappuccino in preghiera: «Quella di Padre Pio è una storia d'amore con Cristo nel segno della condivisione del dolore, vivono lo stesso sacrificio», commenta il regista che è anche autore della sceneggiatura insieme con Maurizio Braucci. Nel suo prossimo futuro un documentario sull'Ucraina: «Sono appena tornato da quel paese martoriato dove ho cominciato a raccogliere le testimonianze delle persone, poi vedrò cosa farci. Per Padre Pio era importante la condivisione, oggi in Ucraina è morta anche la pietà». Per interpretare un personaggio tanto complesso ha voluto un attore altrettanto problematico, Shia LaBeouf, un artista irregolare e irrequieto, spesso nei guai per questioni di droga e di rehab, ebreo convertito di recente al cristianesimo. «Shia si è immedesimato profondamente nel personaggio, si è chiuso per quattro mesi in un convento della California e ancora oggi sta compiendo un percorso spirituale importante. Aveva molto bisogno di un cambiamento e questa esperienza gli ha offerto l'occasione giusta per una trasformazione interiore». Gli ha dato indicazioni particolari? «Gli ho fatto leggere la sceneggiatura e le lettere di Padre Pio, il resto lo ha fatto da sé». Nel cast, con Marco Leonardi, Luca Lionello e Brando Pacitto, anche la moglie moldava del regista, Cristina Chiriac.

Da anni Ferrara abita a Roma ed è un buddista praticante. Cosa si aspetta dal futuro? «Non so rispondere, non siamo sulla Terra per soffrire, ma in giro vedo tanta sofferenza». Come vorrebbe che gli spettatori commentassero il film? «A me basta che vadano a vederlo, poi ognuno la pensa come meglio crede». Ma i frati cappuccini, confratelli di Padre Pio, hanno visto il film? «Certo e lo hanno amato moltissimo, hanno detto che è un capolavoro».
 

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