Sylvester Stallone si prende il Festival di Cannes: «Io, Rambo e Rocky ma il ring è la vita»

Sylvester Stallone si prende il Festival di Cannes: «Io, Rambo e Rocky ma il ring è la vita»
di Titta Fiore
Sabato 25 Maggio 2019, 10:00 - Ultimo agg. 17:17
4 Minuti di Lettura
CANNES - Aspettando la Palma d'oro, Sylvester Stallone si prende il Festival. Sapremo stasera chi vincerà la sfida tra i maestri della vecchia guardia come Almodovar, Loach, Dardenne, il nostro Bellocchio molto elogiato dalla stampa straniera, e la nuova e agguerrita generazione di Sciamma, Mati Diop, Ladj Ly, Bong Joon ho, Diao Yinan (Tarantino fa gara a sé, Kechiche cerca soprattutto lo scandalo). Intanto, arrivano i primi premi e Chiara Mastroianni è la migliore attrice del Certain Regard con «Chambre 212» di Christophe Honoré. Intanto, per Sly Stallone ci sono standing ovation e applausi a scena aperta durante l'affollatissima master class e l'omaggio di gala al Palais per il restauro di «Rambo-First Blood», datato 1982, con le prime immagini del quinto episodio della saga, in arrivo a settembre sugli schermi del mondo.
 
Generoso, divertente, sincero, il divo ha raccontato con tanti particolari inediti le tappe della sua sfolgorante carriera ottenuta con sacrifici e una volontà caparbia. Le difficoltà, dice, non gli hanno mai fatto paura: «Ho superato problemi fisici, corretto il modo di parlare e l'emissione della voce troppo cavernosa, lavoravo in un parcheggio e sono arrivato in cima. Ho imparato a mie spese la lezione della vita: mai smettere di lottare». Solo chi cade può risorgere, dice Stallone, Rocky e Rambo incarnano il mito dell'eroe resiliente che non si lascia piegare dalle avversità. «Sulla carta il film su Rocky non aveva alcuna possibilità di successo: l'abbiamo girato in 25 giorni, io ero uno sconosciuto, l'operatore non era mai stato sul set, non avevamo camerini e si lavorava praticamente gratis. Insomma, un disastro annunciato. Però l'idea non era banale: un uomo al capolinea che rinasce dopo l'incontro con una donna. E il mio ottimismo naif ha fatto breccia». Il film vinse tre Oscar nell'anno, precisa orgoglioso Stallone, di «Taxi Driver» e «Tutti gli uomini del presidente» e «Rocky» diventò subito un fenomeno, «perché tutti nel mondo sanno cosa significa lottare contro la paura, la solitudine e il fallimento».

La stessa cosa sarebbe accaduta per «Rambo». «Nel soggetto originale era una specie di selvaggio, una macchina per uccidere senza umanità, io l'ho trasformato in un reduce dall'inferno del Vietnam con il cuore spezzato. Non avevo una precisa idea politica, ma mi sentivo responsabile nei confronti dei veterani che al ritorno dal fronte non riuscivano ad avere una vita normale e ho cambiato l'immagine di Rambo. Ne ho fatto un uomo tormentato e problematico e la gente ha cominciato a identificarsi con il personaggio. Rambo era il simbolo dell'America degli anni Ottanta, il presidente Reagan disse: ecco un vero repubblicano, e così è nata la sua leggenda. Per me rappresentava più semplicemente il lato oscuro che si nasconde in ciascuno di noi, mentre Rocky era l'ottimismo».

Per calarsi nei personaggi dei suoi eroi muscolari, Stallone ha modellato il fisico fino a trasformarlo e a 73 anni è ancora atletico e ben piazzato. «Diciamo che sono bionico, ho subito trenta operazioni e la mattina devo oliarmi le giunture per alzarmi dal letto e camminare. Eppure lo accetto, mi porto addosso le mie ferite di guerra. Non sono più l'eroe forte e veloce di trent'anni fa, ma la testa mi funziona ancora, ed è la cosa più importante». Il successo, la popolarità, le sfide («ho girato Copeland per dimostrare che potevo recitare anche le emozioni e non solo fare a botte»), le sconfitte: «Negli anni Novanta ho lavorato con il pilota automatico, interpretando tanti brutti film di cui mi vergogno con i miei figli».

Con «Rocky 5» ha conosciuto l'amarezza del declino: «Il film fu un flop e il telefono smise di squillare. Mi dissero: rassegnati, sei finito, ci sono tanti giovani attori là fuori. È la vita: fino a quarant'anni vai come un treno, dopo la strada diventa in salita». Ma guai a scoraggiarsi: nel cinema le cose possono cambiare da un momento all'altro. E infatti eccolo qui sulla Croisette, con gli stivaletti a punta da cowboy e un nuovo «Rambo» per le mani, il numero cinque: «Il tempo è passato, ma lui soffre ancora della sindome da stress post-traumatico, si sente in colpa perché è un sopravvissuto, nel ranch in cui si è rifugiato ha fatto scavare un tunnel angusto come una trincea e solo lì dentro si sente al sicuro. Questa volta gli toccherà salvare un po' di gente da un'inondazione, accadranno cose terribili, sono entusiasta della storia. E ho un'idea formidabile per un nuovo Rocky».

La rilavità con Schwarzenegger? «È un tipo molto competitivo, mi ruba le idee migliori e non siamo d'accordo su niente. Ma sul set di Escape siamo diventati amici e lavoriamo molto bene insieme». Non ha mai pensato a possibili eredi, Stallone: «Non m'interessa il passato, guardo avanti. Ho ancora tante emozioni da provare».
© RIPRODUZIONE RISERVATA