Trace Lysette a Venezia: «E ora voglio recitare come donna»

Trace Lysette a Venezia: «E ora voglio recitare come donna»
di Titta Fiore
Domenica 4 Settembre 2022, 09:28 - Ultimo agg. 5 Settembre, 08:37
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Venezia

Tra le candidate alla Coppa Volpi nel primo e ricchissimo weekend della Mostra, da ieri c'è anche Trace Lysette, l'attrice transgender di «Monica» di Andrea Pallaoro che ha riportato l'Italia in gara dopo l'horror romantico di Guadagnino. Bellissima, statuaria, elegante, ha già recitato nelle serie «Law and Order» e «Transparent» e nel documentario Netflix «Disclosure» nei panni di se stessa, ma questo è il suo primo ruolo da protagonista. «Per me rappresenta una grande opportunità» spiega. «Poter raccontare quella che sono ed essere considerata un'attrice a pieno titolo era un'occasione imperdibile. È raro trovare una sceneggiatura che metta un personaggio trans al centro del racconto invece di relegarlo in una figura di contorno. Pallaoro lo ha fatto creando un ruolo empatico e meraviglioso, tutto è visto attraverso lo sguardo di Monica».

Il film, accolto da applausi e commozione, è una storia di abbandono e riscatto, accettazione e perdono. Monica attraversa l'America per tornare al capezzale della mamma morente (la brava Patricia Clarkson) che l'aveva cacciata di casa quando da adolescente decise di cambiare identità sessuale: «Non posso più essere tua madre». Quando alla fine si ritrovano, non resta tanto tempo per le parole. Come ha affrontato l'attrice questa esperienza? «Andrea mi faceva sentire sicura, diceva: Nessuno conosce Monica meglio di te, ed io ho cercato di metterci del mio, come la glassatura su una torta. Trovare la verità è la sfida di ogni interprete, mi sono sentita libera di esprimermi proprio perché ho avuto il permesso di improvvisare».
Trace ha 34 anni, è nata nel Kentucky ed è cresciuta nell'Ohio, negli stessi luoghi in cui è stato girato il film, ha una nonna di origini napoletane e ha completato la transizione sessuale da poco.

Attrice e attivista, sul passaporto ha ancora un nome maschile e di sé non dice molto, ma fa intendere di aver conosciuto il dolore e il coraggio: «In passato ho avuto momenti difficili, volevo rinunciare a tutto, dormivo per terra a casa di conoscenti, l'etichetta di gender mi perseguitava e tante volte ho avuto la tentazione di mollare. Poi un amico mi ha incoraggiata a investire su me stessa, ho preso lezioni di recitazione e sono andata avanti, quando è arrivata la convocazione per Law and Order la mia vita ha cominciato a prendere un'altra piega e ora posso sognare in grande. Vorrei recitare in un film come donna e non come trans, ho talento, ho lavorato sodo e credo di meritarmelo. Sento che è arrivato il momento di abbandonare i pregiudizi».

Pallaoro, un amabile trentino che da 23 anni vive a Los Angeles, dice di aver scelto Lysette tra trenta candidate trans e dopo un anno di ricerche: «Con lei c'è stata subito un'empatia speciale, mi ha colpito la sua capacità di riempire la scena più che di recitare». Che cosa le ha chiesto? «Volevo che fosse un'eroina moderna, un personaggio pieno di coraggio e di generosità, in grado di perdonare e fare i conti con il passato». Dopo «Hannah» con Charlotte Rampling, presentato sempre a Venezia, «Monica» è il secondo capitolo di una trilogia che non ha ancora un finale. «Il mio è un cinema basato sulle domande e non sulle risposte» commenta il regista: «La cosa più importante è sentire che ci siamo espressi con onestà e sincerità». Il film, fa intendere, non ha avuto una vita facile: «C'è voluto tanto tempo per mettere insieme i finanziamenti».

E ogni tanto è capitato anche qualche incidente di percorso: «Sapendo il tema che trattavamo, in tre posti ci hanno impedito di girare. Purtroppo nell'America profonda che ha votato Trump accade». Applausi entusiasti in sala e in conferenza stampa hanno accolto l'altro film del concorso, «Argentina 1985», omaggio al Pm Strassera e al suo gruppo di giovani avvocati che riuscirono a far condannare Videla all'ergastolo riportando la democrazia nel paese finalmente libero daila dittatura dei colonnelli. Ovazioni per il protagonista Ricardo Marìn, subito candidato a un premio: «Non c'è famiglia in Argentina che non abbia vissuto dolori terribili» racconta: «Era terrorismo di stato e tutti sapevano, ma solo con il processo sono state prodotte prove schiaccianti. Ecco perché il nostro è un film necessario».

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