Vincenzo Salemme, Con tutto il cuore: «Il mio elogio del napoletano normale»

Vincenzo Salemme, Con tutto il cuore: «Il mio elogio del napoletano normale»
di Titta Fiore
Mercoledì 6 Ottobre 2021, 12:15
5 Minuti di Lettura

Vincenzo Salemme riparte da un record. Da una commedia che è stata campione d'incasso, con 149 repliche in giro per l'Italia e più di 4 milioni al botteghino. Un primato assoluto. E ora quella commedia, «Con tutto il cuore», è diventata un film che da domani sarà nelle sale in trecento copie, prodotto da Chi è di scena e Medusa. Stessi temi, stessa vicenda, ma atmosfere, spunti e cornici molto più cinematografici e di ampio respiro. La storia: a Ottavio Camaldoli, onesto e integerrimo professore di latino e greco, un «fesso» nell'accezione comune, viene trapiantato il cuore di un criminale efferato, soprannominato «'O barbiere» per la stravagante abitudine di fare barba e capelli alle sue vittime. La madre del donatore, una boss spietata, si convince che il figlio riviva in quel cuore e pretende che il povero professore ne vendichi la morte. Con tutti gli equivoci e i paradossi del caso. Si ride molto e si riflette su argomenti seri, com'è nello stile di Salemme attore, drammaturgo e scrittore. Nel cast affiatatissimo gli danno manforte Cristina Donadio, Serena Autieri, Maurizio Casagrande, Antonio Guerriero, Sergio D'Auria, Vincenzo Borrino. «Non è la prima volta che porto al cinema un mio lavoro teatrale» dice l'attore e regista, «ma in questa occasione, complice la sosta forzata per il Covid e la collaborazione con gli altri autori, ho avuto il tempo di approfondire la scrittura e di ritoccarla, come faccio ogni sera in palcoscenico davanti al pubblico. E il tempo conta. Volevamo raccontare una storia un po' estrema rendendola sempre credibile, godibile, divertente». 

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Al centro del film c'è un uomo comune, un'anonima brava persona che non si rassegna a subire i mille soprusi della vita: chi gli sta intorno lo considera «fesso», lei ne fa quasi un eroe del quotidiano.
«Io mi ribello agli stereotipi, mi sono rotto le scatole dei luoghi comuni sui napoletani tutti pizza, mandolino, caffè, San Gennaro e canzoni.

Il mio protagonista vuole essere una persona normale, una delle tante persone con un senso civico alto, che ubbidiscono con dignità alle regole sociali e alle leggi ma che, nello stesso tempo, fanno trasparire il desiderio di reagire alla sopraffazione. Timidamente, magari, ma ci provano. Oggi si parla tanto di tutela delle minoranze, ma chi tutela la gente comune?».

Spesso la frustrazione si riversa sui social.
«Beh, lì le cose vanno ancora peggio, sulla rete l'individuo non esiste più, siamo etichettati per categorie: i laureati, le partite Iva... L'umanità è diventata un grande supermercato».

Non è la prima volta che nei suoi lavori un trapianto diventa uno snodo drammaturgico. Come mai?
«Vero, c'era un trapianto di occhi in Amore a prima vista e un doppio trapianto in Premiata Pasticceria Bellavista. Diciamo che mi piacciono le contaminazioni e l'idea romantica che, attraverso un organo, si possano trasmettere anche i sentimenti di una persona. La donazione è un gesto che parla di coraggio, di solidarietà, di futuro, la sento come una categoria dell'anima e forse per questo mi ci sono appassionato».

Oggi è più difficile comunicare i sentimenti?
«Siamo diventati un po' codardi, nelle relazioni ci diamo con poca generosità. Ecco perché i social hanno tanto successo. Da bambino avrei voluto essere trasparente, vedere tutto senza essere sfiorato. Oggi la rete ci permette questa triste, solitaria magia. Per sconfiggere i cosiddetti leoni da tastiera bisogna renderli visibili. Sentirsi al sicuro nella propria cuccia è una pia illusione, la vita va vissuta con pienezza e con umiltà, consapevoli che siamo qui per caso. Abbiamo preso un passaggio su un treno di lusso e quindi godiamocelo. La disonestà non serve a niente».

Si batte per questo il protagonista di «Con tutto il cuore».
«Camaldoli è un modello, il simbolo di chi non ha voce ma sa cos'è giusto e vorrebbe condividere con gli altri la bellezza e l'onestà della vita. La bellezza è un antidoto potente alla rabbia, all'insoddisfazione che ci rendono ciechi».

Per il cinema e il teatro è arrivata finalmente la stagione della ripartenza.
«Penso che il peggio ce lo stiamo lasciando alle spalle. Però sono un po' dispiaciuto perché il ministro Franceschini aveva promesso di ampliare la capienza massima delle sale, invece siamo ancora fermi al 50 per cento e così non ce la possiamo fare».

Lei ha cominciato con Eduardo e recitato con Luca De Filippo i classici di Scarpetta: una grande tradizione che ora il cinema racconta con i film di Martone e Rubini. Che ne pensa?
«Ne sono felice, per me Scarpetta è sempre stato un genio, mentre a lungo un certo establishment culturale lo ha considerato un autore minore, sbagliando clamorosamente. Mi auguro che l'interesse per la sua arte continui e si rinnovi. E poi mi piace molto l'erede della dinastia, il giovane Eduardo Scarpetta, un attore bravo, carino, fresco».

Dopo il record di «Con tutto il cuore», che ora arriva al cinema, tornerà a metà novembre in tournée con «Napoletano? È famme na pizza!», lo spettacolo tratto dal suo pamphlet contro l'uso e l'abuso degli stereotipi. Che cosa vorrebbe dire agli spettatori?
«Che non smetterò mai di ringraziarli. Al pubblico devo tutto. Durante il lockdown all'ingresso del teatro Diana, a Napoli, campeggiava una mia frase: Noi, senza di voi, non esistiamo. Perciò, cari spettatori, se tornate ci regalate la vita».

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