2022, la top ten dei dischi: Lamar e Nu Genea suoni post-pandemia

Tra gli album dell'anno anche The Smile e Fontaines DC

2022, la top ten dei dischi: Lamar e Nu Genea suoni post-pandemia
di Federico Vacalebre
Mercoledì 28 Dicembre 2022, 08:27 - Ultimo agg. 29 Dicembre, 16:48
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Un tempo c'erano le classifiche di vendita e quelle che suggerivano, con un po' di presunzione, i migliori dischi dell'annata appena trascorsa. Oggi sono rimaste le prime, travestite dalle seconde, con i numeri delle visualizzazioni e dei like come unica legge, come unica base critica (si fa per dire). Vale ancor più, allora, azzardare la propria, personalissima, presuntuosissima (perché mai altri dovrebbero badare alla musica che piace a me?), partigianissima top ten di un 2022 post-pandemico senza grandi capolavori, con qualche esordio confortante e qualche scoperta intrigante. Ad altri il computo dei dischi di platino incassati da mister X e lady Y, del fatturato planetario del fenomeno Maneskin. Ad altri la top ten della natiche di marmo, la discussione se siano meglio quelle scolpite di Rosalia, quelle abbondanti di Beyonce o quelle più «dirty» di Tove Lo. Qui ci sono i suoni targati 2022 più consumati negli ultimi dodici mesi sul pianeta vacalebrico. E a culo tutto il resto, per dirla con Guccini, le cui «Canzoni da intorto» non sono in classifica perché sarebbe un gioco troppo facile ed antico: partono i primi versi di «Morti di Reggio Emilia» e vai con il coro a pugno chiuso, che molto analisi critica non è.

1) Kendrick Lamar: «Mr Morale and the Big Steppers»
Rap come seduta psichica, come flusso intimo, come contenitore di tutti i suoni possibili, come la corona di spine indossata in copertin da Kendrick Lamar.

Rap adulto, introspettivo, che non vuole più essere, se mai lo ha voluto, voce generazionale. Ghostface Killah dei Wu-Tang Clan, i giovani Kodak Black e Baby Keem, Sampha e Beth Gibbons dei Portishead danno una mano ad un racconto che non dimentica la strada, ma nemmeno la fragilità umana, chiede scusa degli errori mentre magari ne commette di nuovi, adagiandoli su sonorità meno jazzy dell'epocale «To pimp a butterfly», meno orecchiabili di «Damn», eppure sempre una spanna sopra l'hip hop imperante.

2) Nu Genea: «Bar Mediterraneo».
Due amici newpolitani al bar: Massimo Di Lena e Lucio Aquilina sfuggono al tedioso sound dominante in Italia per rispolverare una Napoli retromodernista e futurconservatrice. A Marechiaro dalla fenestrella si affaccia il canto multikulti di Célia Kameni, ma la voce di Fabiana Martone («Tienatie'») è verace come la riscoperta di «Vesuvio» degli Zezi. Tra mare e vulcano l'elettronica è arma trendy, ma non modaiola: compresa la differenza?

3) Yard Act: «The overload»
Da Leeds con furore post-punk ed antiBrexit. Tra Blur e Blurt, The Fall e Xtc alla ricerca di un altro mondo possibile, di un altro suono possibile.

4) The Smile: «A light for attracting attention»
Tom Yorke e Johnny Greenwood dei Radiohead più Tom Skinner dei Sons Of Kemet. Sembrano i Radiohead, ma il magma sonico si tinge di kraut rock, progressive post-punk, afrobeat, alt jazz. I tempi di «Ok computer» (1997), «Kid A» (2000) e «Amnesiac» (2001) sono lontani, ma chi si contenta gode.

5) Black Country, New Road: «Ants from up there»
Alt rock anglosassone, ma electro-sghembo, ipnotico e postjazzistico. Dopo questo secondo disco, Isaac Woods ha portato altrove la sua voce, ma la band, per fortuna, non si è sciolta.

6) Domi & JD Beck: «Not tight»
Una francese e un texano tra lacerti di jazz a la page sospeso tra Herbie Hancock e Anderson .Paak.

7) Kokoroko: «Could we be more»
Post jazz afrocentrico, felakutimaniaco e, purtroppo solo a tratti, funkadelico, da Londra.

8)Fontaines Dc: «Skinty fia»
«Roman holiday» e «Jackie down the line», ma anche «I love you», che nonostante il titolo è una canzone politica, dimostrano quanto duri l'influenza della stagione new wave. Irlandesi in Inghilterra, i Fontaines Dc conquistano anche il mainstream ipnotizzandolo con echi di Cure, Smiths, Joy Division e chi più ne ha più ne metta, ma, soprattutto, firmando canzoni-canzoni, che funzionano, eccome.

9) Jack White: «Mean of the dawn»
Dopo qualche mese è arrivato anche «Entering heaven alive», quasi a (ri)mediare le licenze prese in questo disco sperimentale, eccentrico, incompiuto (mancano grandi canzoni), curioso, intrigante.

10) Alessio Arena: «Marco Polo»
Uscito prima in Spagna e poi in Italia, il quinto album del tropicalista newpolitano folgorato dal deserto di Atacama, cantautore di storie minime che si fanno maxime nell'incontro con suoni senza frontiere, con culture fluide, con la consapevolezza che la musica, come gli uomini, è nata per viaggiare e nessuno la può rinchiudere in presunti confini.

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