Morto Fausto Cigliano, l’ultimo maestro della canzone verace di cantaNapoli

Morto Fausto Cigliano, l’ultimo maestro della canzone verace di cantaNapoli
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Giovedì 17 Febbraio 2022, 10:30 - Ultimo agg. 18 Febbraio, 09:40
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«Silenzio cantatore» si intitolava il suo ultimo album, diviso con Gabriella Pascale ed un gruppo di per lui giovani musicisti. Ma è un silenzio assordante quello che regna nel piccolo mondo antico di cantaNapoli, sempre più vicino all’estinzione, ora che se n’è andato anche lui, Fausto Cigliano, l’ultimo maestro della canzone verace, l’ultimo maestro di cantaNapoli, l’ultimo cantante-chitarrista capace di porgere i classici con verace signorilità senza disdegnare, sin dal successo degli anni Cinquanta, esperimenti curiosi e innovativi. 

Aveva 85 anni, appena compiuti, era nato il 15 febbraio 1937 il gentleman della melodia verace, da tempo viveva nel suo buen retiro romano. La salute malferma si era aggravata negli ultimi tempi per un problema renale che lo aveva portato al ricovero all’ospedale Gemelli, dov’è morto ieri notte. 

 

Aveva rinunciato alla canzone quando, sul palco del teatro Trianon, si era accorto di non potersi più accompagnare con la chitarra, di essere tradito dalla memoria: «Ho problemi di memoria, lascerei entrare l’orchestra, scusatemi la capa sciacqua», confessò in quell’occasione, l’ultima delle tante, mai abbastanza, in cui lo abbiamo applaudito. 

Figlio di un comandante dei vigili urbani ha attraversato la canzone napoletana con classe e con stile. Penultimo di sette figli, infanzia segnata dalla guerra e dagli anni a Roccabascerana, provincia di Avellino, soffriva d’asma e si trovò a cantare quasi per caso: «Mi convinsero a provare.

Accettai, purché mi permettessero di nascondermi sotto una sedia, con una coperta attorno», raccontava ricordando il suo esordio in erba.

Morto il padre nel 1952 la chitarra divenne la sua compagna d vita ed il modo di sbarcare il lunario, come ricordava: «Alla Mostra d’Oltremare, vicino al laghetto, c´era un night all’aperto dove ebbi un contratto estivo. Cantavo e strimpellavo. Canzoni napoletane». Naturalmente. 

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Fan dello chansonnier Roberto Murolo, del suo «recitar cantando», a 17 anni fu notato dalla Rai, nel ‘56 debuttò al Festival di Napoli come «riassuntore» dei motivi in gara: «Mi capitò di cantare anche “Guaglione” di Aurelio Fierro». Fu il successo: «Mi presentai all´esame di maturità e i professori mi conoscevano tutti: “Ma come, lei qui?”».

Lo volle il cinema, la tv, era bello ed elegante Fausto: «Ho partecipato a tutte le cose possibili, salvo “Studio uno”, ho fatto anche il Carosello per sei anni». Nel 1959 vinse il Festival di Napoli, in coppia con Teddy Reno, portando al trionfo «Sarra’ chi sa», scritta dal suo mito Murolo con Renato Forlani. Nel ‘64 un altro festival, quello di Sanremo, dove lanciò «E se domani», di Carlo Alberto Rossi e Giorgio Calabrese, poi successo anche di Mina.

Il declino della canzone napoletana lo vide in trincea, per trent’anni divise con la chitarra di Mario Gangi il compito di preservare, difendere, diffondere un’arte antica, scrivendo ogni tanto dei nuovi brani più in sintonia con il momento, ma mai piegati alle mode: «Ossessione ‘70», «Napule mia», «Ventata nova», «Scena muta». 

 

Il cinema lo volle ancora: Michelangelo Antonioni usò le sue musiche per chitarra in «Identificazione di una donna», nel 2010 John Turturro lo mise di fronte al Caravaggio del Pio Monte della Misericordia per una «Catari'» da brividi, essenziale, Salvatore Di Giacomo non avrebbe chiesto di meglio per i suoi versi. La Polosud, piccola etichetta indipendente partenopea,  pubblicato i suoi ultimi lavori: «Teatro nella canzone napoletana» (1999), che raccoglieva brani da Totò a Pupella Maggio, da Eduardo e Peppino De Filippo ad Angela Pagano, da Raffaele Viviani a Nino Taranto); «...e adesso slow!» (2002), in cui traduceva in napoletano alcuni classici americani degli anni ‘40 e ‘50 resi famosi da Nat King Cole, accompagnato da arrangiamenti per grande orchestra scritti da Rino Alfieri; «L’oro di Napoli» (2004), tra classici anche recenti come Sergio Bruni («Carmela») e Claudio Mattone («‘A città ‘e Pulecenella»); «L'oro di Napoli due», tra Carosone e l'ironia di «Sci sci piazza dei Martiri»; sino all'ultimo «Silenzio cantatore» (2013), in cui si misurava anche con brani di Enzo Gragnaniello («Stu criato»), Franco Del Prete («Veleno») e Almamegretta («Gramigna»). 

Ciao Fausto, ciao. E grazie di tutto.

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