Sanremo 2021, il Festival di Amadeus e Fiorello fa rumore ma il silenzio pesa

Sanremo 2021, il Festival di Amadeus e Fiorello fa rumore ma il silenzio pesa
di Federico Vacalebre
Mercoledì 3 Marzo 2021, 07:03 - Ultimo agg. 10:22
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Basterà? Nella fame/sete di leggerezza e di intrattenimento dell'Italia chiusa in casa da un anno, basterà il Fiorello achillelaurizzato, con tanto di abito floreal kitsch, rossetto nero e unghie laccate, alle prese con una versione post-punk di «Grazie dei fiori»? Basteranno le battute su Zingaretti e Barbara D'Urso e il balletto benignesco tra le poltrone vuote dell'Ariston eletto a trincea antipandemia? Il Festival n. 70+1 parte lento, anche perché subito dopo le prime gag della coppia Amarello arriva la gara dei giovani non ancora big. Folcast e Gaudiano (che passano il turno) e gli eliminati Elena Faggi e Avincola non sono proprio la migliore messe possibile, così bisogna aspettare le 21.37 quando inizia il varietà, col duetto tra Amadeus e Fiorello contornati da ballerine armate di ventagli da numero burlesque: «Bentornato Festival» cantano, tra un profumo di Lelio Luttazzi e di gemelle Kessler, dedicando la kermesse «al Paese che lotta».

Fiore ingrana la marcia, tra Draghi («una specie di Merkel con la cravatta con diciannove lauree»), Paolo Fox con le previsioni per il 2021, e l'Ama ter («Non ci sarà») prima di ricostruire con Amadeus l'immagine felice, forse l'ultima prima della pandemia, dell'8 febbraio 2020, quando Diodato vinse Sanremo. Il «rewind» è impossibile, troppe morti in mezzo, troppo dolore, troppi abbracci negati, baci abortiti, amori implosi, aziende fallite, corsie di ospedali piene. «Fai rumore» ha trovato un nuovo, imprevisto, significato, «che non lo posso sopportare/ questo silenzio innaturale». E pesa il silenzio, che fa davvero rumore, pesa l'assenza di applausi umani, esorcistici, catartici.

 

Poi incomincia l'intronata routine del cantare leggero (copyright Pasquale Panella per Lucio Battisti), ovvero il Festival della canzone italiana: 13 i big in scaletta, Arisa illude i telespettatori più maturi che ora troveranno voci e volti a loro almeno noti, ma poi Colapesce-Dimartino («Musica leggerissima» è tra i brani migliori della gara), Aiello, Madame (un vero fenomeno pronta a prendersi il mondo, chi parlava di bamboccioni? Lei ha 19 anni), i Maneskin (un po' di sano rock, almeno), Ghemon (bene, bravo, bis), Coma_Cose (un ritornello che spacca), Fasma sono tutti da scoprire per loro, i ragazzi li conoscono, invece, benissimo.

Max Gazzè vestito da Leonardo Da Vinci gioca con la sua band di cartonati vip, Michielin e Fedez provano ad agguantare davvero la vittoria finale con il loro duetto da trottolini amorosi, Noemi cambia pelle e voce. La classifica parziale, ha votato la giuria demoscopica, vede in testa, l'incolore - sex appeal a parte - Annalisa, seguita da Noemi, Fasma, Michielin-Fedez, Renga, Arisa, Maneskin, Gazzè, Colapesce-Dimartino, Coma_Cose, Madame, Ghemon, Aiello. Un giudizio che penalizza le novità volute da Amadeus e, soprattutto, le canzoni migliori.

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Coprotagonisti fissi Ibra (che tenta di impossessarsi del Festival per trasformare San Remo in San Siro con tono celentanesco) e Achille Lauro, di serata una gigantesca Loredana Berté da tragedia greca pop («Il mare d'inverno», «Dedicato», «Non sono una signora», «Sei bellissima» in medley, prima del suo nuovo brano, «Figlia di», che ricorda un po' troppo «Corazon espinado» di Carlos Santana) e una poco a fuoco Matilda De Angelis («buonasera poltroncine, buonasera pubblico di pigiamini a casa»), il palcoscenico kolossal di quest'anno, che ha invaso la sala, sembra vuoto anch'esso, ma è la sala senza nessuno in platea il convitato di pietra, anche se Fiore tenta di convincere i braccioli delle poltrone ad animarsi, come in un cartoon della vecchia Disney, in una inedita «Fantasia» festivaliera. Il Covid-19 incombe su tutto lo show, non solo quando irrompe in scena, magari con il volto di Alessia Bonari, l'infermiera resa celebre dalla foto in cui mostrara i segni della mascherina.

A spiazzare gli schemi, tra l'appello per la libertà di Patrick Zaki, la banda della Polizia con il sax di Stefano Di Battista e i complimenti del ministro Speranza per Sanremo, doveva esserci il primo «quadro» di Achille Lauro, chiamato a sparigliare, a essere «un velo di mistero sulla vita, la solitudine nascosta in un costume da palcoscenico, sessualmente tutto, genericamente niente». Come un novello Carmelo Bene si presenta come «esagerazione, teatralità, disinibizione. Peccato e peccatore». Volto coperto dal trucco, come un qualsiasi glam rocker post-bowiano, post eltonjohniano, post alicecooperiano dei tanti, canta «Solo noi», il primo singolo del suo ennesimo nuovo corso. Piume, il volto sanguinante, una canzonetta così così. Molto rumore per nulla? Lui, situazionisticamente, parla di una «lettera del mondo all'umanità: scostante, aliena, trafitta, io so come ti senti. Sono qui trafitto nei tuoi preconcetti, aiutami, perché ne ho bisogno, come si ha bisogno dell'abbraccio di una madre. Non dimenticare chi eri. Tu sopravvivevi perché ti bastava un abbraccio. Io sarò lì per guardarti amare di nuovo». Amen.

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