Maometto II al Teatro San Carlo di Napoli, Michele Mariotti: «È il racconto di una guerra infinita»

«Il San Carlo è il San Carlo, un gioiello cui auguro ogni bene»

C'è Maometto II al Teatro San Carlo di Napoli
C'è Maometto II al Teatro San Carlo di Napoli
di Donatella Longobardi
Sabato 28 Ottobre 2023, 09:00 - Ultimo agg. 29 Ottobre, 09:34
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«Devo dire che tra i titoli del Rossini serio, questo è un autentico capolavoro. E, come in tutte le opere scritte dall'autore pesarese per Napoli ha un profumo speciale, forse è la magia di Napoli stessa». Michele Mariotti racconta così il «Maometto II», l'opera di Rossini che va in scena da domani (domenica ore 17) al San Carlo, repliche 31, 2 e 5 novembre. Ultimo titolo della stagione 2022-2023, «prima» in programma mercoledì scorso cancellata a causa di uno sciopero nazionale, ma anche a livello locale tanti problemi mentre è di soli tre giorni fa la decisione del tribunale di confermare il reintegro del sovrintendente Stéphane Lissner esautorato da un decreto legge varato dal governo che imponeva la decadenza dalle funzioni a chi, come lui, avesse compiuto 70 anni. Un'atmosfera tutt'altro che tranquilla ha dunque fatto da contorno al varo dell'allestimento con la regia dello spagnolo Calixto Bieito, per la prima volta al teatro napoletano, e un cast di specialisti rossiniani che schiera Dmitry Korchak (Paolo Erisso), Vasilisa Berzhanskaya (Anna), Varduhi Abrahamyan (Calbo), Li Danyang (Condulmiero), Roberto Tagliavini (Maometto II) e Andrea Calce (Selimo) mentre il coro, in attesa dell'arrivo del nuovo direttore, è guidato dal maestro aggiunto Vincenzo Caruso. Un coro che, spiega il direttore Mariotti, «è il quinto protagonista». 

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In che senso, maestro?
«Ha funzione sia di coro greco a commento del dramma, sia di vero e proprio personaggio quando diventa parte dell'azione».

Ricordiamolo, la trama racconta del sultano che nel 1476 col suo esercito cinge d'assedio la veneziana Negroponte, sull'isola greca di Eubea, dove tra cristiani e maomettani nascono odi e amori.
«Una storia purtroppo drammaticamente attuale che il regista ha giustamente realizzato in un contesto atemporale e senza riferimenti geografici precisi perché la guerra c'è sempre e ci sono sempre orrori, torture e anche storie d'amore e di eroismo.

Torno ora dal Giappone dove con l'Opera di Roma abbiamo portato Tosca e Traviata, due titoli attuali per la violenza sulle donne, ora il conflitto in medioriente...».

«Maometto II», rappresentato a Napoli la prima volta nel 1820, era stata ripresa al San Carlo una sola volta nel 1826. Ora, quasi duecento anni dopo, viene riproposta in una nuova edizione critica a cura di Ilaria Narici, direttrice scientifica della Fondazione Rossini di Pesaro. Lei da buon pesarese l'aveva mai diretta?
«Ascoltata diverse volte sì, diretta mai. È un debutto. Proporremo una pre-edizione critica. Lavorando sulla partitura, il cui manoscritto è conservato al San Pietro a Majella, ho apportato piccole variazioni che, d'accordo con la Narici, saranno inserite nell'edizione definitiva. Quando si fanno operazioni del genere è naturale trovare piccole cose da cambiare, sono problemi che si riscontrano lavorando sul testo».

Diceva che siamo di fronte a un capolavoro.
«Certo. Un capolavoro di Rossini e un'opera modernissima non solo per l'attualità del libretto del nobile napoletano Cesare Della Valle. È un'opera che entra subito in argomento, non c'è ouverture. Si inizia con una riflessione di Erisso che è un eroe del quotidiano e deve difendere la famiglia e prendere una decisione difficile. Inizia con una cifra scura che non ci abbandonerà fino alla fine, circa tre ore di musica intense, un flusso continuo con ben undici numeri musicali e scene lunghissime, basti dire che il finale del terzo atto affidato ad Anna dura circa venti minuti».

Ma queste dimensioni quasi wagneriane possono spaventare un pubblico poco motivato?
«Sono convinto che la noia non è legata all'opera o al compositore ma agli interpreti. E qui abbiamo voci straordinarie, come quella di Tagliavini-Maometto che richiede inflessioni autoritarie e di potenza vocale ma anche i momenti intimi di un uomo innamorato».

Lei ha diretto spesso a Napoli negli ultimi anni tanto che si era fatto il suo nome come direttore musicale prima che lei accettasse l'incarico a Roma e qui fosse chiamato Ettinger. Come ha vissuto l'allestimento così travagliato di quest'opera tra scioperi, proteste e vicende giudiziarie?
«È stato un lavoro impegnativo, ma ho un ottimo rapporto con tutte le componenti del teatro, quando si è lavorato lo si è fatto con grande qualità e serietà. Questo Rossini richiede un'alta qualità del suono, precisione, pulizia, è una musica che obbliga ad ascoltarsi come nella cameristica. E noi l'abbiamo fatto. Perché il San Carlo è il San Carlo. Un gioiello cui auguro ogni bene. Certo, è un momento di difficoltà per il teatro, per le fondazioni italiane, ma dobbiamo tenerci stretti questi patrimoni di esperienza e tradizione, perché sono patrimoni che il mondo c'invidia». 

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