Se la sentono in tasca, la vittoria. E dato che la scaramanzia è robetta da latini, non da popolo faro del mondo quale si vedono ancora, ci sono scuole che hanno già avvertito i genitori di mandare i bimbi domani in classe con una maglietta bianca o rossa per celebrare il trionfo, o televisioni che trasmettono il conto alla rovescia della finale col titolo “È quasi a casa”, la Coppa, obviously. Sono presuntuosi, certo: sono inglesi, hanno anche un millennio di ottimi motivi per esserlo, da Hastings in poi. Ma sono arrivati a questa finale, e alla semifinale mondiale 2018, perché a un certo punto hanno capito che nel calcio dovevano cambiare rotta. E che non c’era nulla di male a copiare, a prendere esempio da chi faceva meglio, a contaminarsi, a de-inglesizzarsi, rimanendo però se stessi. Un bagno di umiltà, non tutti ne sono capaci. Così, dopo le grandi sconfitte della nazionale tra fine 90 e inizi Duemila, e dopo anni di discussioni e rinvii, nel 2012 nasce il centro di St George’s Park, nelle Midlands, che diventa la casa del calcio inglese, sul modello francese di Clairefontaine a cui ci si ispira dichiaratamente. Costa 105 milioni di sterline, è di oltre 100 ettari, ospita 24 nazionali maschili e femminili dai bambini ai grandi, è un centro di formazione per allenatori (Gareth Southgate nasce lì come tecnico federale) e ci sono 13 campi da calcio, uno è l’esatta replica del terreno di Wembley anche nelle zolle e nella lunghezza dei fili d’erba. La rivoluzione è anche filosofica: basta col “kick and run” vecchio un secolo e che non ha più senso, spazio a un calcio più tecnico e di possesso palla, però con giocatori intelligenti, pensanti, formati e cresciuti in tal senso, e la multiculturalità del paese aiuta moltissimo.
Al tempo stesso parte un programma per rendere più professionali i settori giovanili dei club, si chiama Elite Player Performance Plan. Così nel 2017 arrivano i primi risultati, le nazionali inglesi vincono il Mondiale under 17 e pure quello under 20: non erano primi al mondo in qualcosa di calcistico dal 1966. Nel frattempo la Premier si è contaminata coi tecnici alla Wenger, alla Mourinho, o coi nostri Ancelotti, Mancini, Ranieri e Conte, infine con Klopp e Guardiola. Un melting pot che produce calcio moderno e vincente in Europa coi club, e che in nazionale muta a seconda delle situazioni: a Euro 2020, per dire, Gareth Southgate ha abiurato tentazioni di calcio guardiolesco, perché aveva atleti stanchi, e ha scelto di partire dalla difesa, all’italiana o alla Mourinho, altro che Pep.