Mancini canta l'Italia in finale:
«Che musica, maestro»

Mancini canta l'Italia in finale

Mancini canta l'Italia in finale: «Che musica, maestro»
di Bruno Majorano
Mercoledì 7 Luglio 2021, 07:00 - Ultimo agg. 19:04
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Brutti, sporchi e cattivi. Ma ora aggiungete un altro aggettivo per gli azzurri: vincenti. La Spagna non è il Belgio, e nemmeno l'Austria, il Galles, la Svizzera o la Turchia. Il palleggio in mezzo è la cosa che più di tutte mette in crisi il gioco dell'Italia. E lo capisce subito anche Mancini che al termine della partita non saprà nemmeno il colore dei sediolini della sua panchina. È sempre in piedi, si sbraccia, urla indicazioni di continuo. Non si ferma un istante: letteralmente indemoniato. Se potesse entrerebbe lui in campo. Subito. Perché di vedere i suoi ragazzi infilati nel frullatore spagnolo e subire la pressione lo manda al manicomio. La giacca color ghiaccio diventa presto un lontano ricordo datato inno nazionale, perché è subito in maniche di camicia. L'aplomb resta impeccabile, anche se l'importanza e l'intensità della partita impongono un atteggiamento decisamente più fumantino. Gli azzurri in campo lo capiscono, perché il ct da fuori prova a trasmettere loro quella serenità necessaria per uscire dall'impasse iniziale. 

Mentre l'Italia in campo soffre, Mancini già pensa ai rimedi. Almeno quelli psicologici. La prima mossa è quella di mandare a riscaldarsi Berardi: quasi subito. L'esterno del Sassuolo è stato protagonista a inizio Europeo, ma la parabola ascendente di Chiesa lo ha spinto in panchina già nel quarto contro il Belgio. Eppure Mancio sa che lui può dare la scossa. Gli chiede di accelerare il riscaldamento anche per dare un segnale a chi è in campo: nessun intoccabile. Eppure le scelte iniziali sono quelle ampiamente anticipate. Emerson al posto dell'infortunato Spinazzola (Insigne a fine gara indossa la sua maglia) è l'unica novità rispetto all'11 titolare contro il Belgio. Perché le prestazioni di Barella e Verratti hanno convinto il ct a puntare ancora su loro due come scudieri di Jorginho in mezzo al campo. Discorso analogo anche per Di Lorenzo che ha stabilmente preso il posto di Florenzi come terzino a destra. Ma è a sinistra che l'Italia spinge di più e meglio. Emerson e Insigne si cercano, si trovano e quando hanno possibilità di scambiare in velocità affondano che è una bellezza. Probabilmente non era quella l'idea iniziale del ct (aspettare e ripartire in velocità) ma certe volte bisogna anche imparare a fare di necessità virtù. Nel secondo tempo cambia tutto: fuori la prima punta, si va col falso nove, Insigne al centro del tridente con Chiesa e Berardi.

E poi Di Lorenzo, dirottato da destra a sinistra per mettere dentro i centimetri di Toloi. 

 

Nei supplementari si gioca tutto sul filo delle emozioni. Mancini è sempre lì: sulla linea laterale che spinge. Cambia ancora la sua Italia. Con Pessina in campo gli azzurri passano al 4-2-3-1, l'atalantino alle spalle di Belotti che intanto è entrato al posto di Insigne e ha riportato il centravanti vero. La svolta non arriva. Bisogna arrivare ai rigori, preceduti da quel cerchio ai margini della panchina: tutti attorno al ct. Il resto è storia e si chiama ancora Wembley. «È stata una partita durissima», racconta subito dopo la fine dei rigori Mancini. «Ma non è finita qui». Ci tiene a rimarcare. «La Spagna è una grande squadra, gioca benissimo, ma noi abbiamo fatto una buona gara, anche se non come al solito, sapevamo che c'era da soffrire: era così. Ci hanno messo in difficoltà all'inizio ma abbiamo trovato le coordinate giuste senza rischiare troppo. Loro nel palleggio sono i maestri. Una partita durissima. Le squadre di calcio attaccano e difendono, abbiamo occasioni per fare altri gol. Le squadre difendono tutte: non solo le italiane. I meriti sono dei ragazzi, loro hanno creduto a tutto questo. Ora dobbiamo recuperare le forze e giocarci la finale». E poi la dedica social a Raffaella Carrà: «Ma che musica maestro». 

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