Arnoux: ho più paura del coronavirus
di quando sfidai Villeneuve a 300 kmh

René Arnoux
René Arnoux
di Pino Taormina
Domenica 19 Aprile 2020, 16:10 - Ultimo agg. 16:39
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«Non ho mai avuto paura in pista, neppure quel giorno in cui io e Gilles abbiamo dato vita a quel famoso duello a Digione. Ci toccammo sette volte, ma non ho mai temuto di prendere il volo. Ora con il coronavirus è diverso, ora sono molto preoccupato per la mia vita. Ma non per il virus, ma per l’incompetenza di chi deve decidere per tutti noi, nel vedere gente che non dovrebbe parlare tutte le sere in tv in Francia che dice cose di cui non sa nulla. E questo “bordello” mi spaventa più della pandemia». René Arnoux, 71 anni, è uno dei miti dell’automobilismo. È stato il protagonista della sfida più venerata nella storia della F1, quella del primo luglio 1979 nel Gp di Francia: lui sulla Renault Turbo e Gilles Villeneuve sulla Ferrari 312T4. Le ruote della Rossa e quelle della Renault si toccarono più volte a trecento all’ora, tra sorpassi, frenate fumanti, collisioni sfiorate. La Formula Uno, come tutti gli sport, è ferma: la stagione potrebbe partire il 5 luglio con il Gp d’Austria a porte chiuse.

Arnoux, si fa fatica a credere che quel pomeriggio non ha temuto di morire.
«Mai, neppure per un istante. Io mi fidavo di Gilles e lui di me. Ciecamente. Le auto era realizzate con professionalità e competenza. Eravamo amici e anche dopo quella corsa cenammo insieme nel box Ferrari perché io amavo la cucina italiana. Io rimasi senza benzina, lui senza freni alla fine di quel duello. Ora ci arresterebbero per le regole attuali per il modo con cui abbiamo gareggiato. Ma anche allora ci accusarono di aver potuto decollare, di aver messo in pericolo i tifosi ma in realtà non abbiamo mai rischiato di agganciare le ruote. Io e Gilles non eravamo pazzi e quello fu un duello in cui mai mettemmo in pericolo le vite nostre e degli altri. Ma un pilota di Formula Uno non pensa mai alla morte, sennò non può sedersi a guidare una vettura».

Ora è diverso?
«Perché è un disastro. Cosa è vero? Cosa è falso? Io mi mettevo al volante e pensavo a quello che dovevo fare in pista sapendo di poter aver fiducia in chi aveva montato le gomme, in chi si era occupato del motore, in chi aveva visionato le sospensioni. Gilles, per esempio, non mi avrebbe mai fatto uscire di proposito e io lo stesso. Adesso no: non c’è fiducia nei tanti esperti che dicono tutto e il contrario in pochi minuti e che non mi pare sapere come uscire da questo momento terribile per tutti. La gente è spaventata per questo».

Perché lei è preoccupato così tanto?
«Prima di diventare un pilota sono stato a scuola per studiare la fresatura dei metalli e poi mi sono appassionato ai motori, a come costruirli. Poi sono stato due anni come meccanico alla Conrero. Il commendatore Ferrari non mi avrebbe mai preso senza queste mie competenze perché era uno che con i piloti amava parlare di tutto. Avevo passione e conoscenze. Ora non vedo nulla di tutto ciò, mi sembra che a quelli bravi non venga data la parola. Chi comanda? Chi decide? C’è una comunità scientifica che ha la credibilità per governare questo momento? La vita di un pilota di Formula Uno è nelle mani di chi ha competenze, va a 300 all’ora ma il pericolo è misurato. Ora mi pare che non sia così».

Come se ne esce fuori?
«Io faccio fatica a pensare che possa succedere rapidamente se non si cambia marcia. Oggi la linea è in discesa, poi è in salita. Accendi la tv in Francia la sera e non capisci nulla. Ma in Italia è lo stesso. Ho delle aziende in Svizzera che producono meccanica di precisione per orologi e io so bene fino a dove posso spingermi per le mie competenze prima di far parlare gli esperti, che ne sanno più di me. È come le auto: puoi avere quella vincente ma poi vince il pilota che va più forte, che affronta le curve con la sicurezza di chi sa che si può fidare del lavoro dei propri meccanici e dei propri ingegneri».

Anche la Formula Uno pensa a una ripresa senza pubblico. Lei è d’accordo?
«Il calcio senza tifosi è un conto, perché i calciatori avvertono la passione e le partite a porte chiuse non sono un grande spettacolo. Nella corse è diverso: noi ci accorgiamo della gente nel giro di ricognizione prima della partenza e poi alla fine dopo la bandiera e quando saliamo sul podio. Durante la gara non ti accorgi dei tifosi sugli spalti. Dunque, se è un modo quello di tornare a correre per regalare una emozione, una distrazione ai milioni di appassionati, giusto ricominciare con i Gp. Si mettono davanti la tv in questi giorni terribili e si distraggono. I piloti e i team possono fare questo sacrificio, sia pure tutelando la salute di tutti. Anche se ovvio, le gare vivono delle t-shirt e dei cappellini venduti, delle lunghe attese dei tifosi che aspettano di sentire i rumori dei motori».

Teme una Formula Uno che possa uscire ridimensionata dalla crisi del Covid-19?
«Parlano di ridurre i budget e forse è la cosa giusta da fare per evitare di mettere fuori dai giochi i team più piccoli. Ma io mi auguro che quello che si riesce a risparmiare in questa stagione con il taglio degli stipendi possa servire per aiutare i dipendenti di questi team e i tanti laboratori di ricerca che sono fondamentali per lo sviluppo dei motori, dell’aerodinamica e via dicendo».

Alla fine non c’è il rischio che vincano sempre gli stessi così?
«Il divario potrebbe aumentare tra Ferrari, McLaren, Red Bull e tutte le altre ma anche ai miei tempi non era facile per i team più piccoli andare a punti. Allora venivano premiati solo quelli che si piazzavano ai primi sei posti e non era semplice arrivare al traguardo. Agli altri non restavano che le briciole, come mi pare che sia anche adesso».

Una lotta per il Mondiale destinato per pochi?
«Lo è da tempo ed è per questo che non mi diverto più tanto a vedere le corse. Sono solo i 6 piloti dei tre team principali a poter competere per il titolo iridato, gli altri possono solo togliersi delle piccole gioie».

Perché non si diverte più?
«Ai miei tempi anche se partivi in terza fila, perché avevi fatto male le qualifiche, non eri spaventato, sapevi che al momento della gara potevi recuperare. Ora riuscire a fare un sorpasso che non sia ai box o al momento del cambio ruote è una rarità. A parte che finisci subito sotto inchiesta se solo sfiori un’altra vettura. Ormai per certi versi, basta vedere i primi cinque giri di un Gp e poi gli ultimi chilometri prima dell’arrivo al traguardo. Le emozioni dove sono?».

Le può regalare ai ferraristi Leclerc?
«La crisi che colpirà la Formula Uno dovrà cambiare le strategie dei team e anche della Rossa. Potranno essere competitivi solo i piloti di Ferrari, McLaren e Red Bull e allora, anche per lo spettacolo, è giusto dare via libera a chi va più veloce, senza bloccare chi sta dietro in una gerarchia tra primo e secondo pilota che adesso si fa fatica a comprendere».

Dunque, giusto puntare su Leclerc o Vettel?
«Giusto puntare su chi mostrerà di andare più veloce, di essere più in forma. Leclerc ha coraggio, è giovane, gli piace rischiare ma non sarà semplice scavalcare Seb».
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