Il Dez brasiliano prima del Diez argentino. Il grande rimpianto di José Guimaraes Dirceu, campione con tre Mondiali alle spalle morto a 43 anni in un incidente stradale a Rio de Janeiro il 15 settembre 1995, era non aver potuto giocare con Diego Armando Maradona. A Napoli, dove il ragazzo di Curitiba era sbarcato un anno prima del Pibe. Questa e altre storie che hanno come protagonista uno straordinario personaggio come José sono nel libro “Dirceu per sempre” (Edizioni Incontropiede, pagg. 156, euro 18.50) scritto da Enzo Palladini, giornalista di Mediaset che conosce come pochi il mondo del calcio brasiliano.
Prelevato dal Verona nell’estate ‘83 per 370 milioni, con un contratto triennale da 450mila dollari a stagione, grazie alla mediazione dell’agente napoletano Antonio Caliendo, Dirceu venne messo alla porta del Centro Paradiso dopo un grigio campionato (30 partite e 5 gol, la squadra undicesima) quando il Napoli avviò la trattativa col Barcellona per Maradona. Allora erano previsti due stranieri per squadra e Dirceu avrebbe voluto giocare con Diego. «Perché devo andare via?». Nessuno gli rispose e al suo posto arrivò un altro argentino, Bertoni. Dirceu lasciò a Maradona non solò la maglia numero 10 ma anche la casa in via Scipione Capece. Diego e la fidanzata Claudia telefonavano quasi tutti i giorni a José e a sua moglie Vania, in attesa del secondo figlio, affinché lasciassero l’appartamento.
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Dirceu si era innamorato di Napoli e della Campania. Prima di tornare in Brasile, aveva indossato le maglie di Avellino (voluto dall'allenatore connazionale Vinicio), Benevento ed Ebolitana. Ad Eboli, dove dopo la sua morte gli dedicarono lo stadio nel 2001, lo ricordano quando si fermava per strada insegnando ai ragazzini a giocare a calcio. «Lo faceva anche a Napoli. Noi compagni gli telefonavamo per portarlo al cinema ma non veniva mai: lo scoprivamo nei giardinetti, tirava fuori il pallone e giocava....», ha ricordato nel libro Massimo Palanca, suo compagno in quel Napoli. L’ex attaccante del Catanzaro era uno specialista sulle punizioni, però le lasciava a Dirceu, mancino infallibile.
José era innamorato della vita e del calcio. Rispettava gli avversari anche se, come diceva in ogni intervista prepartita, «fuori amici ma in campo è guerra». Avrebbe voluto giocare anche il quarto Mondiale, quello dell’86 che avrebbe vinto l’Argentina. Aveva un dolore al ginocchio e, pochi giorni prima delle convocazioni, chiese a Diego il permesso per essere visitato dal massaggiatore Carmando, che aveva seguito la Seleccion in Messico. «Toccai il ginocchio e gli dissi che c’era la lesione del legamento. Niente Mondiale, doveva essere operato. Dirceu pianse e Maradona lo abbracciò», ha raccontato Carmando nel libro che descrive i giorni felici di José, come l’applauso di 80mila napoletani quando tornò col Como al San Paolo, e quelli tristi, quando finì quasi in miseria per una serie di truffe subite. Morì con l’amico Pasquale Sazio, un calciatore campano che lo aveva raggiunto a Rio. «Vieni qui, ti trovo io una squadra».