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RITIRO NAPOLI 2023

Il nuovo Napoli di Rudi Garcia tra croci e delizie: il focus

Alla fine dei due ritiri precampionato è già tempo di bilanci

Rudi Garcia
Rudi Garcia
di Pino Taormina
Articolo riservato agli abbonati premium
domenica 13 agosto 2023, 08:52 - Ultimo agg. : 14 agosto, 07:33
5 Minuti di Lettura

Il Napoli è (quasi) pronto. Nel senso che i test di questa estate dicono che tutto ruota attorno a quella coppia ben rodata delle meraviglie Kvara-Osimhen che ha scavato il solco in serie A lo scorso anno. E si prepara a farlo anche nella prossima stagione: il feeling non si è interrotto, uno crea scompiglio, l'altro pure e segna anche. Con il georgiano che già pare a buon punto e il nigeriano (fin troppo distratto da sauditi, rinnovi e contratti vari) che sta per arrivarci. I più pronti, senza dubbio, Di Lorenzo (che leadership), Simeone (in forma straordinaria, segna a ogni tocco di palla) e Meret con il portiere che ha vissuto la sua prima estate non da precario, senza spade di Damocle o le incertezze sulla sua destinazione.

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E il risultato si è visto (il gol preso da metà campo dalla Spal non è stato una sua colpa). In crescita Lobotka, che con l'Apollon ha giocato finalmente in regia mentre quando è stato impiegato nella mediana a due (con l'Antalyaspor e l'Augsburg) con Elmas è stato uno spreco. L'abito su misura è il 4-3-3 e non c'è sarto che tenga, provare altro di questi tempi fa perdere tempo ed è inutile.

Il vero enigma è trovare il giusto posto in campo a Raspadori, il grande nodo. Lo ha provato ovunque, Garcia. Ma in cinque gare amichevoli non ha segnato un gol e un'altra casa, esclusa l'area avversaria, non riesce a trovarla. E poiché lui è attaccante, va trovata una soluzione. Scacciare il fantasma di Spalletti. Non è semplice, ma è quello che Garcia sta provando a fare in questo primo mese di Napoli: meno 4-3-3 possibile, più "anarchia" in mezzo al campo, meno rigore tattico negli allenamenti. C'è un tetro tintinnio di catene che si sente ancora nel castello azzurro: il cambio di preparazione atletica ha portato un bel po' di complicazioni (Rui ha saltato mezza preparazione, Anguissa è out almeno per altri 15 giorni e sono stati numerosi i contrattempi muscolari) ma la prima cosa che deve fare il Napoli di Rudi Garcia è crescere attraverso un passaggio necessario: dire addio a Spalletti.

Perché la nostalgia è una brutta bestia e perché Garcia, lo si è capito tra Dimaro e Castel di Sangro, è tutto un altro mondo, cui bisogna adeguarsi. Non c'è più il condottiero con le dosi di rabbia e polemica incorporati e che provocava il mondo per generare tensione che caricasse la squadra. Non c'è più il teorico dei complotti che richiudeva la truppa nel forte. C'è un allenatore che non ha problemi a parlare di "infortuni di mercato" e che non teme di dire "spero che presto Osimhen pensi solo al campo" e di provocare la squadra con quel "se si sentiranno appagati, ci sono io". Gli azzurri sono campioni d'Italia e dovranno trovare dentro di sé rabbia e motivazioni. L'orgoglio di difendere l'impero conquistato e l'ambizione di ampliarlo sono sentimenti che vengono da dentro. Se ci sono. Al resto penserà Garcia: Rudi ha dimostrato di essere tecnico preparato, un docente di calcio che può trasmettere coraggio e autostima attraverso conoscenze nuove.

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Punto di partenza: non ha l'organico zoppo. Nel senso, finisse ora il mercato non ci sono vuoti. Ovvio, il Napoli vuole migliorare con Veiga ma nel caso, buchi non ce ne sono. La filosofia di Garcia ha mostrato la frequente transazione dal 4-3-3 al 4-2-4 ma anche al 4-4-2 o anche al 4-2-3-1. Del Napoli che è stato, Rudi vorrebbe modificare la tendenza ad «alzarsi troppo» in fase di non possesso palla: il francese cerca una squadra mediamente più bassa, con due principi base: pressing e possesso palla. In queste quattro settimane, le due cose si sono viste a sprazzi. Infortuni, preparazione all'inizio hanno influito. In mezzo, con Lobotka e Zielinski, c'è la solita qualità per gestire il possesso. Magari anche con Veiga e Cajuste.

Gli equilibri di un 4-2-3-1 più alto si fondano sul lavoro anche difensivo degli esterni, propensione che Raspadori non coltiva con grande sacrificio. In difesa, sostituire Kim non è una cosa così semplice, per l'insieme di cose che sapeva fare il coreano. E che certo non può fare Rrhamani. Per questo serviva Danso che, però, ha preferito restare a Lens. Natan ha bisogno di tempo (e pure molto), i 15 minuti contro i ciprioti hanno fatto vedere che non difetta di coraggio. E ha buon piede. Ma c'è bisogno di tempo e Juan Jesus sembra destinato a essere il compagno ideale del kosovaro. Almeno all'inizio. Anche Cajuste appare come un leone in gabbia: va ovunque, si vede che vuole spaccare il mondo. Lo spirito è quello giusto. Olivera sembra in vantaggio su Mario Rui nel solito ballottaggio a sinistra. Poi si vedrà. Il tecnico confida nella conferma di Zielinski e nella serenità di Osimhen. Così come, a ben vendere non bisogna escludere che Raspadori, Kvara, Politano, Zielinski e Osimhen possano giocare insieme e anche dall'inizio. Di sicuro il Napoli è una lepre condannata a correre forte. E lo deve fare dall'inizio, per evitare che il fantasma torni a fare la sua comparsa delle stanze del castello azzurro.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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