La grande notte di Anguissa,
quel tenore con il bilanciere

La grande notte di Anguissa, quel tenore con il bilanciere
di Marco Ciriello
Giovedì 8 Settembre 2022, 07:00
3 Minuti di Lettura

Agilità e bellezza in posa al centro del campo: il pirata André Zambo Anguissa detta la navigazione del Napoli, con l'apporto del silenzioso Lobotka, e il Liverpool di Jürgen Klopp affonda. Ogni sua incursione è una liberazione di energia calcistica, testa alta, pare adagiato su botti di rum per come amministra i palloni in sicurezza. Guida le discese del Napoli tutte velenosissime grazie a Kvara-Giggs navigando libero da pesi e oppressioni, nessuno scontro fisico lo intimorisce, nessun pallone viene lasciato al caso, è classe che si mischia a una idea nietzschiana di superuomo in palleggio, che fa la porta girevole ruleteggia e scambia, dribbla, blocca, appoggia e infine segna pure, il gol fondamentale, quello che sblocca il Napoli dopo l'arresto del rigore sbagliato da Osimhen. Gomez uno che fa chiedere chatwinianamente: che ci fa lì? Nella linea difensiva di Klopp perde l'ennesimo pallone sulla pressione di Kvaratskhelia, Anguissa triangola con Zielinski che gli restituisce il favore mettendolo in posizione da poter umiliare Alisson con un interno preciso e forte, la sentenza che chiude la partita, il resto è gioventù Youth per gli inglesi e altri due gol. 

Erano anni che non si vedeva una squadra italiana dominare così in Champions League e contro una grandissima poi, ed erano già molte settimane che Anguissa dimagrito e dinamico giocava con una disinvoltura e una classe da calciatore di Premier League. La sua geometria unita alla sua fisicità hanno scritto il nome di Spalletti sulla partita. Il suo irrompere legato allo spezzettare di Lobotka ha consentito al Napoli il controllo della partita. Anguissa fin dal primo pallone e poi goccia a goccia arrivando alla fine della partita ha imposto il comando, ha disegnato la gerarchia del tempo calcistico, senza mai lasciare respiro e quindi pensiero ai centrocampisti del Liverpool.

È riuscito ad essere un tenore palestrato, unendo la lirica e il bilanciere, un macho di classe che palleggia in faccia ai palleggiatori e poi segna pure, per ribadire chi è che comanda.

Lo stile è perfetto, non ci sono sbavature, anche perché intorno tutto gira alla perfezione, Zielinski segna due gol, Osimhen è libero di sbagliare un rigore e di prendere un palo, Simeone può piangere e raccontare al padre di una impresa che lo allaccia all'idolo di casa: Maradona, e Anguissa può dire a se stesso: ho dimostrato serenità e catechismo pallonaro a quelli del Liverpool, che una sconfitta così nell'era Klopp non l'avevano vista mai. È una grande sera di festa a Fuorigrotta, perché visto dal Maradona il calcio italiano non zoppica come quello che si vede nei tabellini degli altri risultati. E dopo una partita così sarebbe stato anche meno doloroso perdere, essere recuperati e sconfitti, perché c'era un calcio allegro e bambino, selvaggio e figlio della caparbietà serpigna di Kvara e Anguissa. Partite così rimettono al mondo, fanno scomparire il dolore e lievitare la convivialità. E se non accadrà mai più, o fra altri trenta anni, Napoli saprà aspettare, lamentandosi. 

 

Per ora si salta, e di gioia. Tutti hanno corso con le gambone di Anguissa, hanno visto i Caraibi nei suoi piedi e l'oceano alle sue spalle, una vacanza dal quotidiano, piena di tamburi e battiti fortissimi, e poi anche urla. L'Africa è l'infanzia del calcio, per questo è ancora capace di portare scosse emotive, stupore e gloria dannunziana. L'eccessivo Anguissa è divenuto molteplice e sublime. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA