Lo scudetto alla prova dei nove:
è sfida tra Milan, Napoli, Inter e Juve

Lo scudetto alla prova dei nove: è sfida tra Milan, Napoli, Inter e Juve
di Bruno Majorano
Martedì 15 Marzo 2022, 07:00 - Ultimo agg. 16 Marzo, 07:24
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Al tramonto degli anni 90 spopolava una trasmissione televisiva che la domenica sera riassumeva tutti i gol della giornata e proponeva anche qualche commento ironico. A caratterizzare la trasmissione c'era la sigla il cui ritornello recitava una frase particolarmente significativa: «Tanto c'ha ragione chi fa gol». E a distanza di anni sembra essere tornati esattamente a quella frase. Il campionato di serie A è più equilibrato che mai: Milan, Inter, Napoli e Juventus sono tutte lì, se la giocano settimana dopo settimana, punto a punto, nella speranza di un passo falso altrui per approfittare ed effettuare il sorpasso.

E a guidare l'agguato ci sono loro: gli attaccanti, i numeri 9 che alla fine hanno ragione. Sempre e comunque.

Perché dopo aver scollinato l'era del «falso nove», quando a dominare le aree di rigore erano piccoletti con pochi muscoli ma con tanto cervello, è tornato di moda il totem: l'attaccante fisico che mette paura anche solo quando si muove senza palla. In tal senso le quattro pretendenti al trono possono vantare altrettanti giganti d'area che seppur dotati di caratteristiche diverse rappresentano il meglio del calcio offensivo di almeno un paio di decenni. Sì, perché da una parte (le due milanesi) si punta sull'usato garantito con i trentacinquenni Giroud e Dzeko, dall'altra ci sono Napoli e Juve che si affidano al futuro supergreen di Osimhen (23 anni) e Vlahovic (22). 

Caratteristiche diverse, età diverse, ma un solo obiettivo comune: buttarla dentro. Senza se e senza ma. A godersi i propri gioielli sono i quattro attaccanti che per un verso e per l'altro hanno costruito le squadre sulla scorta delle qualità dei rispettivi numeri 9 (Vlahovic è l'unico a indossare la 7). Giroud è l'uomo dei gol pesanti nelle partite pesanti, Dzeko è l'attaccante-regista, quello che segna ma sa anche far segnare; Osimhen è la furia capace di trascinare dietro avversari e compagni a suon di scatti supersonici; mentre Vlahovic ha le sembianze di un cyborg arrivato dal futuro e progettato solo con l'intento di segnare, segnare e poi segnare ancora. Ai infiammare la lotta per lo scudetto che scotta, ci sono i loro gol, quelli che inevitabilmente diventeranno ago della bilancia per il verdetto finale previsto a maggio. Gol d'autore, gol di rapina o gol a porta vuota: nessuna differenza. Quello che conta sarà sempre e solo buttarla dentro. E i quattro moschettieri del gol non hanno alcuna intenzione di riporre la propria spada nel fodero al momento dello duello finale. 

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Olivier Giroud

I gol pesanti negli scontri diretti

Si è presentato a Milanello con la precisa missione di cancellare definitivamente la maledizione del numero 9, quella che oramai accompagna gli attaccanti rossoneri da quasi un decennio. Olivier Giroud (35 anni) è il bomber che Stefano Pioli ha voluto come spalla e alternativa a Ibrahomovic. Certo, l'età anagrafica non è quella di un ragazzino, ma l'esperienza non si compra al mercato e quella del francese è fuori da ogni discussione. Detto, fatto: il contributo di Giroud si riassume fin qui in 8 reti e 3 assist nelle 20 presenze collezionate in campionato, ma il peso specifico dei gol del francese è di quelli che spostano. Uno contro la Roma, uno al Maradona contro il Napoli e due nel derby di ritorno contro l'Inter a San Siro. Dici poco: la metà del gol arrivati nelle partite che contano; gol pesanti che in maniera inequivocabile possono indirizzare la stagione.
Perché Giroud è così, magari gioca a nascondino per 80' e poi in 10 è capace di cambiarti le sorti della partita. Lo ha fatto a Napoli, lo ha fatto nel derby: l'uomo giusto, al momento giusto. Per la gioia di Pioli che si gode il suo numero 9, francese doc, proprio come il vino: più invecchia più migliora, circondato dalla banda di ragazzini terribili che stanno trascinando il Milan al primo posto nella classifica di serie A con Napoli e Inter che provano a inseguire accompagnati dai loro numeri nove. 

Victor Osimhen 

Finalmente si rivede il ciclone africano

Lui prende l'ascensore e il Napoli sale sulla giostra.

Victor Osimhen è l'uomo del momento, perché con la sua doppietta a Verona ha portato gli azzurri al secondo posto con vista su uno scudetto che rischiava di essere sfumato dopo il ko interno contro il Milan. Una cosa è certa, quando segna Victor il Napoli non perde: mai. E a questo punto i rimpianti aumentano se si pensa alle tante partite saltate dal nigeriano tra il problema allo zigomo e il Covid. Con i due centri di Verona è arrivato a quota 9 in campionato, confermandosi il miglior marcatore azzurro, ma soprattutto il terminale offensivo ideale per il gioco di Spalletti. Catalizzatore a tutti gli effetti, Victor è l'uomo ideale per calamitare i palloni vaganti nella metà campo avversaria, puntare la porta e creare scompiglio. Merito delle lunghe leve e di quei muscoli capaci di sprigionare forza e velocità senza precedenti. Lo sa bene Spalletti, che non a caso ha costruito una squadra ad hoc sulle caratteristiche del nigeriano. A Verona è arrivato il quarto gol consecutivo di testa, non male per uno che gioca con una mascherina protettiva dopo la rottura dello zigomo, a conferma di una specialità che poco alla volta sta diventando uno dei suoi cavalli di battaglia. Ma non solo. Osimhen non è solo forza fisica, ma anche capacità di tenere palla, far salire la squadra e trovare il guizzo vincente. Cosa gli manca? Il colpo decisivo in una partita decisiva. Ma ha 23 anni e i margini di miglioramento ci sono tutti. 

Edin Dzeko 

Un gigante anche negli assist

Quando Edin Dzeko è entrato nello spogliatoio dell'Inter ha trovato una voragine. Un vuoto gigantesco lasciato dal numero 9 uscente: Romelu Lukaku. Non esattamente la più facile delle condizioni per presentarsi da attaccante della squadra campione d'Italia e con vista sul secondo scudetto consecutivo. Ma a 35 anni il bosniaco non è tipo che si lascia impressionare dall'ambiente e allora si è caricato il peso dell'attacco sulle spalle e ha iniziato a tirare la carretta. Come? Con la grandezza di chi sa il fatto suo. Si è preso Lautaro Martinez - il futuro è suo - sotto l'ala protettrice e insieme hanno costruito la coppia perfetta per il gioco di Simone Inzaghi. Il borsino di Dzeko dice 12 gol nelle 27 gare di campionato disputate: bilancio che non sembrerebbe tale da strabuzzare gli occhi, ma che va studiato al microscopio. Perché se Simone Inzaghi non se ne priva praticamente mai, un motivo c'è e ha un nome: generosità. Edin è quello che fa a botte con i difensori nell'area avversaria, che fa a botte con gli attaccanti nella propria area e che all'occorrenza sa diventare il regista offensivo dell'ultimo passaggio. Ne sa qualcosa Alexis Sanchez che ha dovuto solo spingere in rete il pallone dell'1-1 nell'ultimo pareggio last minute dell'Inter sul campo del Torino. Il cileno ha raccolto la sponda (più da 10 che da 9) del compagno e ha fatto centro. Tutto facile, tutto nel segno di Dzeko. 

Dusan Vlahovic 

Nei suoi gol il futuro della Signora

L'unico dei quattro a non indossare la maglia numero 9. Ma paradossalmente la sua è la più pesante di tutte. Sì, perché Dusan Vlahovic si è preso la 7 che fino a qualche mese fa era sulle spalle di Cristiano Ronaldo. Chiarissima dichiarazione di intenti. D'altra parte è sbarcato sul pianeta Juventus con l'intento di non fare la comparsa, anzi. Il serbo - pagato 70 milioni alla Fiorentina - è stato a lungo il re dei bomber del nostro campionato, per poi paradossalmente rallentare la sua corsa proprio dopo l'approdo in bianconero. Certo, il bottino fin qui è di 20 rei (17 con la Viola, 3 con la Vecchia Signora), numeri che fanno decisamente rumore vista la sua giovanissima età (22 anni), ma il contributo portato da Vlahovic è soprattutto quello legato al peso specifico lì davanti. Ecco perché si potrebbe parlare di una Juve prima o dopo Vlahovic. Perché con Dusan, Allegri ha potuto cambiare idea di gioco, appoggiandosi su una punta fisica che si prende palloni vaganti, lotta con tutti gli avversari e soprattutto la butta dentro. Appena 3 gol da quando è arrivato a Torino, ma grazie ai suoi movimenti al limite dell'area avversaria ha saputo liberare spazio per Morata (ora libero di agire più lontano). Il futuro è suo e se la Juventus oggi può ancora sognare in grande - cioè lo scudetto - è tanto merito di questo ragazzo che sembra non provare emozioni diverse dalla gioia di un pallone che si infila in rete. 

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