Il mondo celebra Darwin:
ecco perché ha inventato la vita

Il mondo celebra Darwin: ecco perché ha inventato la vita
di Cristian Fuschetto
Martedì 12 Febbraio 2019, 06:00
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La vita esiste da poco più di un secolo e mezzo. Bisogna aspettare Darwin, le sue pirotecniche idee su variazione, lotta, adattamento e selezione degli esseri viventi, perché la vita cominci a esistere. Prima esistevano gli organismi, il mondo era pieno di forme viventi ma della vita così come oggi noi la concepiamo non c’era traccia. «Si vogliono scrivere storie della biologia nel XVIII secolo; ma non si avverte che la biologia non esisteva – scrive Michel Foucault ne Le parole e le cose – e che la sezione del sapere a noi familiare da più di centocinquant’anni non può valere per un periodo anteriore. E che se la biologia era sconosciuta, era per una ragione assai semplice: la vita stessa non esisteva. Esistevano soltanto esseri viventi: apparivano attraverso una griglia del sapere costituito dalla storia naturale».
 
Mammiferi, pesci, anfibi, vermi, insetti ma della vita nessuna traccia
Prima dell’Origine delle Specie (1859) la vita era invisibile, suona strano ma è così. Per Linneo (1707-1778), per esempio, padre indiscusso delle moderne scienze naturali, la vita coincide con i generi e le specie attraverso cui Dio ha dato ordine al mondo. Agli occhi di questo genio della classificazione, i viventi trovano la loro ragion d’essere nella volontà dell’architetto che tutto ha creato. Il mondo è pieno di viventi, ma la vita rimane un dettaglio. Ci sono mammiferi, pesci, uccelli, anfibi, vermi, insetti e poi ovviamente piante e i minerali, per ogni ordine ci sono tante specie e per ogni specie tantissimi esemplari più o meno simili al tipo ideale, ma quel che conta è che quei singoli esemplari esistono perché espressione di un calco divino. La vita è una proprietà delle forme viventi e non il contrario. Con Darwin invece la vita diventa una forza scissa dalle sue forme e gli organismi che popolano il mondo ne diventano una funzione. Nella prospettiva tracciata nelle pagine dell’Origine delle specie mammiferi, pesci, uccelli, anfibi, vermi, tutti gli animali così come noi li vediamo potrebbero pure non esserci, e infatti un tempo non c’erano affatto, o comunque non erano così come noi ora li vediamo, e in futuro saranno diversi da ora o potranno anche non essere, e tutto ciò in nome di una forza che attraversa ogni organismo pur non coincidendo con alcuno di essi. Questa forza è la vita.
 
La vita come conquista
In Organismo e libertà, un testo scritto da Hans Jonas nel 1964 ma che a paragone molti testi per studiosi millennials sembrano vintage, il pensatore tedesco osserva che con la teoria evoluzionistica il corpo vivente diventa «prodotto della vita», «risultato e fermata temporanea di un continuo dinamismo». Che significa? Cos’era prima del darwinismo un corpo vivente se non il prodotto della vita? Era il prodotto di una volontà superiore, era una macchina semovente iscritta in un progetto divino di cui la vita era una semplice funzione. La teoria dell’evoluzione per selezione naturale ribalta completamente questo schema e fa diventare il corpo, ogni singolo corpo, una funzione della vita. Nella visione evoluzionistica la vita smette di essere un dato per diventare una conquista e questa rappresenta, dice Jonas, “una delle più grandi scoperte che siano mai state fatte riguardo alla natura della vita”.
 
Un viaggio sconvolgente
Dal 27 dicembre 1831 al 2 ottobre 1836 il giovane Darwin (all’imbarco aveva 22 anni) compie un viaggio che cambia, insieme alla sua vita, anche la nostra. Parte convinto che esista una Natura voluta e ordinata da Dio e torna con il dubbio che le “infinite e meravigliose forme” che ci circondano siano il frutto di una forza cieca. Estremamente creativa proprio perché cieca. Giunto alle Galapagos, «dove – come scrive nei suoi taccuini – sembra di essere vicini a quel grande fenomeno, mistero dei misteri, che è la prima comparsa di nuovi esseri su questa terra», si rende conto da subito che non solo le idee di Linneo ma anche quelle di Lamarck (1744-1829) sull’evoluzione delle specie innescata da un passivo adattamento all’ambiente deve essere superata. Le somiglianze e le differenze riscontrate tra i fringuelli dell’arcipelago (Darwin individua ben 14 specie) non può essere spiegata soltanto sulla base di fattori esterni, come il clima o le altre condizioni fisiche che esercitano pressione sugli organismi. Ci deve essere una potenza che agisce anche dall’interno dei viventi, una forza che produce variazioni, che risponde alle necessità di adattamento, che favorisce l’ereditarietà di alcuni caratteri e la scomparsa di altri, e che faccia tutto questo in modo assolutamente imprevisto perché imprevedibile. Insomma, tutta un’altra cosa rispetto alla forza che spingerebbe gli organismi attraverso l’uso e non uso dei loro organi a un progressivo adattamento al loro ambiente.
 
Le inquietudini di Darwin: «Così tutta la struttura vacilla e sprofonda»
Negli organismi agisce qualcosa di profondamente diverso, una forza autonoma in grado di eccederli, formare e deformarli di continuo. Il naturalista del Kent impiegherà più di venti anni per presentare questa sconvolgente intuizione al mondo. Venti anni di confronti, ripensamenti, esperimenti, verifiche, timori («Una volta stabilito che le specie […] possono trasformarsi in altre specie […] tutta la struttura vacilla e sprofonda», scrive nei taccuini pensando alle conseguenze religiose, filosofiche e politiche della sua “idea pericolosa” come l’ha definita Daniel Dennett). Venti anni di malesseri e qualche euforia. Venti anni per dire al mondo che le specie non esistono, sono solo nomi. Venti anni per far semplicemente presente che la Natura (con la “N” maiuscola) non esiste. Esiste la vita e noi, per riprendere la potente immagine di Jonas, non siamo altro che una “fermata temporanea” del suo corso. 
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