Benevento, caso aborto: dalla Cgil «no» ai prolife nei consultori

Attualmente al Rummo è attivo il servizio per l'interruzione volontaria di gravidanza

Benevento, caso aborto
Benevento, caso aborto
di Luella De Ciampis
Giovedì 25 Aprile 2024, 09:41
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«Ci siamo mosse a livello nazionale e provinciale per manifestare contro il provvedimento dell'attuale governo riguardo alla nuova norma introdotta sull'aborto volontario». Così Antonella Rubbo, segretaria provinciale confederale Fp Cgil commenta l'ingresso dei pro-life nei consultori. «Abbiamo organizzato un momento social dice - in contemporanea con la manifestazione a Roma per far venir fuori il nostro parere contrario alla legge perché, a nostro avviso, rappresenta un attacco forte alle donne e ai loro diritti. Quella di ricorrere all'aborto è una scelta sofferta, dolorosa e intima che non può essere influenzata da interventi esterni, sia pure mirati a tutelare la vita. La presenza di associazioni pro vita può solo spingere le donne a non affidarsi più alle strutture pubbliche, gratuite e a ricorrere al mercato clandestino, mettendo a rischio la loro incolumità».

Attualmente al Rummo è attivo il servizio per l'interruzione volontaria di gravidanza cui fanno riferimento molte donne, in una fascia di età compresa tra i 18 e i 40 anni, con una media annua di 150 aborti per 1000 bambini nati, in linea con i dati nazionali. La posizione della Cgil al riguardo è durissima perché, secondo il sindacato è meglio un bambino non nato che un bambino non voluto, maltrattato, figlio di donne abusate, vittime di tratta. «Il senso della legge 194/78 - dice Giannaserena Franzé, già segretario provinciale Fp Cgil, attualmente nel direttivo regionale - è quello di evitare l'aborto clandestino, di garantire un aborto sicuro e una cultura del rispetto dell'autogestione della donna.

Mia madre negli anni '70 ha lottato in città, occupando gli spazi pubblici per ottenere un'equipe di medici che venisse da Capua e praticasse l'aborto al Rummo. Le donne del nostro territorio non possono finire nuovamente nelle mani delle mammane rischiando la vita. Infatti, credo che le soluzioni alternative all'aborto in ospedale, ottenuto con grandi sacrifici, si andrebbero a cercare in ambiti sommersi, alimentando nuovamente un mercato fiorentissimo fino alla fine degli anni '70».

In quegli anni, in base alle testimonianze di alcune donne che hanno raccontato le loro storie, c'erano due filoni diversi da poter seguire, quello delle mammane che, per pochi soldi, usufruendo di oggetti rudimentali di uso domestico, procuravano l'aborto alle malcapitate con conseguenze spesso nefaste che andavano dall'impossibilità di avere figli in futuro alla morte per emorragia.

Per le donne, spesso giovanissime, che appartenevano a un ceto sociale più elevato, era possibile far ricorso a medici che, non necessariamente appartenevano alla categoria dei ginecologi e che, per una somma compresa tra le 500 e le 700 mila lire, assistiti da un'ostetrica, praticavano l'aborto clandestinamente nei loro ambulatori, senza somministrare anestetici perché, alla fine dell'intervento che, in media durava circa un'ora, le pazienti si alzavano dal lettino ginecologico e tornavano a casa sulle loro gambe.

Intanto, il decreto del Pnrr sulla presenza dei pro life nei consultori è passato al Senato tra mille polemiche innescate sia dalla politica che dai sindacati, convinti che «se è vero che bisogna tutelare la vita è pur vero che le donne hanno diritto a interrompere la gravidanza senza ricevere pressioni, se non sono disposte o non sono adeguate a svolgere il compito di genitore».

I casi di cronaca a livello locale e nazionale vanno in questa direzione. E infatti non si può non pensare alla donna sordomuta di Campolattaro che, qualche anno fa aveva massacrato e gettato in un dirupo il figlioletto, all'altra mamma sannita che aveva partorito e lasciato il neonato nudo sul balcone, salvato dall'intervento tempestivo del 118, chiamato da un vicino, al bimbo di cinque mesi di Benevento morto per trauma cranico al Santobono. Né si può ignorare la vicenda di Alessia Pifferi che ha lasciato per una settimana la figlia di 18 mesi sola in casa, facendola morire di stenti. Attualmente, i consultori Materno infantili dell'Asl sono 3 sui 12 esistenti e hanno sede in città, a Cerreto Sannita e a Montesarchio. A questi si aggiungono i 9 consultori familiari negli altri distretti.

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