Napoli, ristoranti e camorra: la Guardia di Finanza a caccia dei soci occulti

Sos degli inquirenti dopo il sequestro del ristorante Dal presidente: network di prestanome in azione

Via Tribunali, il blitz della Finanza
Via Tribunali, il blitz della Finanza
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Mercoledì 15 Maggio 2024, 23:41 - Ultimo agg. 17 Maggio, 07:28
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Non un episodio isolato ma una sorta di frontiera. Un fenomeno che è letteralmente esploso «negli anni successivi alla pandemia», secondo quanto sta emergendo dalle indagini condotte nelle principali aree metropolitane: parliamo del riciclaggio di denaro sporco, in gran parte di origine mafiosa, in alcune attività di ristorazione esplose sul nostro territorio. 

Non ci sono solo verifiche sull’asset societario della pizzeria Dal Presidente, dunque, ma una strategia capillare sul territorio condotta in questi mesi - tra gli altri - dai militari della Guardia di Finanza. È la traiettoria investigativa più delicata, alla luce del particolare dinamismo economico che ha caratterizzato in questi due anni il comparto del food e di una parte della ricezione turistica a Napoli. Ma proviamo a ragionare, alla luce di quanto segnalato dagli organi centrali ai singoli comandi territoriali, a proposito del presunto abbraccio tra settori della nostra economia. 

Per gli inquirenti esiste una sorta di abbraccio tra camorra e pezzi della borghesia cittadina. Un abbraccio reso possibile dal ruolo di altri due soggetti: prestanome, persone per lo più incensurate, quindi formalmente irreprensibili; faccendieri, in quanto facilitatori capaci di rendere spedite ed efficaci pratiche amministrative all’ombra dei palazzi napoletani. Uno schema su cui non ha avuto alcun dubbio il gip De Angelis, nel firmare gli arresti di Vincenzo Capozzoli (presunto esponente del clan Contini, difeso dall’avvocato Claudio Davino), dei coniugi Massimiliano Di Caprio e Deborah Capasso (finiti in cella, sono difesi dall’avvocato Fabio Visco, ieri hanno rivendicato la propria estraneità alle accuse); ma anche della commercialista Giulia Nappo (difeso dagli avvocati Mariangela Locuoco e Flaviano Moltedo) e del poliziotto Guido Albano (difeso dall’avvocato Fabio Visco). 

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Inchiesta condotta dalla Procura di Napoli, al lavoro pm Alessandra Converso, Ida Teresi, Daniela Varone, tutti gli indagati vanno ritenuti non colpevoli fino a prova contraria, in uno scenario destinato comunque ad estendersi anche ad altre attività. Sono state diverse le segnalazioni negli ultimi due anni da parte di cittadini e di associazioni di quartiere, per fare chiarezza sulla metamorfosi del centro storico. Via antichi insediamenti artigianali, sono esplose le attività legate al food, al punto tale che di recente la giunta Manfredi ha varato una delibera finalizzata a porre un argine all’intero comparto della ristorazione, per evitare di stravolgere il profilo del centro cittadino. Ma su che cosa si muovono in questi giorni gli inquirenti? Al lavoro gli uomini del nucleo di polizia economiica e finanziaria guidato dal colonnello Paolo Consiglio, ci sono alcuni punti fermi su cui lavorare. Stando al settore della ristorazione, i due clan maggiormente attivi vengono ritenuti quelli che fanno capo al boss Eduardo Contini e alla famiglia Moccia (al netto delle sentenze di assoluzione che di recente hanno riguardato proprio i vertici di quest’ultimo sodalizio).

Asset societari nel mirino, si punta a ricostruire il ruolo di presunti prestanome e faccendieri. Spiegano gli inquirenti: «Le indagini più recenti evidenziano anche ingerenze dela camorra attraverso la cosiddetta “imprenditoria diretta”, ossia mediante imprese costituite ad hoc o in stato di decozione con prestanome incensurati». Anzi, a leggere le ultime ricostruzioni, appare evidente che in questi ultimi anni si sia mossa una sorta di «network relazionale di professionisti giuridico contabili e di facilitatori in grado di traghettare gli interessi della camorra nell’economia legale, ricorrendo anche a pratiche corruttive o clientelari». Chiaro il ragionamento? Nella nuova forma di riciclaggio, i protagonisti hanno volti differenti e intenti comuni. Uno schema che è emerso proprio nell’inchiesta culminata nel recente blitz di via dei Tribunali: un uomo dei Contini e un commerciante in difficoltà (nonostante abbia ereditato un locale prestigioso, in una delle zone più battute dal turismo negli ultimi anni), poi amministratori dal volto pulito, professionisti in grado di prestare le proprie competenze (con le buone o con le cattive, non senza attriti violenti) per favorire il passaggio del capitale sporco in attività formalmente pulite. Un versante nel quale entrano in gioco anche diversi facilitatori, capaci di districarsi in uffici pubblici (che vanno considerati al riparo dal rilievi e accuse) per rendere spedite pratiche su inizio attività o sulla trasformazione di locali in zone vincolate. Ma quali sono i campanelli di allarme? Gli inquirenti non hanno dubbi: si punta alle imprese con frequenti variazioni della compagine proprietaria, amministrativa e della sede sociale.

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