Mika pronto per piazza del Plebiscito: «Un onore e un orgoglio»

Mika
Mika
di Federico Vacalebre
Venerdì 9 Maggio 2014, 22:18 - Ultimo agg. 17 Maggio, 15:17
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L'uomo che riaprir piazza del Plebiscito alla musica (ma un paradosso che Bruce Springsteen possa passare come quello che l’ha chiusa) a Parigi, dove sta registrando il suo nuovo album. Interrompe le session per parlare della sua partecipazione, il 18 maggio, alla festa napoletana per i 50 anni della Nutella: appena arrivata la notizia della pace - che assomiglia ad una tregua armata - con la soprintendenza. Il concerto si puo’ fare, Mika.

«Meno male. Conosco poco la questione, mi hanno informato dei problemi incontrati, non posso entrare in merito, ma posso dire alcune cose, in proposito».



Prego



«Vengo a Napoli, città d’arte e cultura, con rispetto ed emozione, con la responsabilità e l’orgoglio di chi sa che si esibirà nel salotto buono della città, in passato concesso a papi, rockstar e leader politici e più recentemente negato. Ma vengo a Napoli anche con la consapevolezza che monumenti celebri, come la Torre Eiffel, si trasformarono ai miei occhi di bambino quando li ho vissuti come cornice di uno show a me caro. Non voglio, non vogliamo togliere nulla alla storia e all’arte di Napoli, ma aggiungere gioia, divertimento, la mia voce, le mie canzoni».

Parliamo dello show, allora. Come sarà?

«Non è il mio spettacolo, e, vista la scaletta che prevede altri ospiti, tra cui Arisa, che mi piace moltissimo e che sono felice di ritrovare, mi esibirò per soli 75 minuti, cercando di concentrare il meglio della mia voglia di esibirmi».



Preparerà qualcosa di speciale per Napoli?



«Si e no. No, perché sarò fedele a me stesso. Sì, perché l’energia che mi tornerà indietro, le vibrazioni di piazza del Plebiscito, faranno la differenza. Questo sarà il mio unico concerto estivo, ringrazio dell’iinvito e spero diventi eccezionale per il pubblico come già lo è per me».



Non conosce Napoli, ma è stato a Positano



«Certo, e li ho capito quante Italie diverse esistono. Per lavoro tendevo a confondere l’Italia con Milano e di Roma, ma un viaggio estivo mi ha permesso di attraversare tutto lo Stivale in macchina e ho capito che esistono differenza importanti, di clima, di cibo, di calore umano. Volevo regalarmi una vacanza in macchina, partire da Londra e fermarmi dove volevo, dovevano essere pochi giorni con quattro persone, sono diventate quattro settimane con 24 persone, tra familiari ed amici, con una carovana di macchine. Siamo partiti da Londra facendo rotta sulla Svizzera, ci siamo fermati a Santo Stefano Belbo, in Toscana e poi a Positano: qui, in un piccolo hotel, mi sono goduto i più bei giorni degli ultimi dieci anni. Il mare, la cucina, ma anche l’accoglienza della gente: in Svizzera quando vedevano la nostra parata di macchine chiudevano le finestre, da voi nemmeno facevano caso a quello che facevamo. Le mie radici libanesi mi hanno fatto sentire a casa. A un party c’era anche un gruppo che ci ha regalato un concerto di canzoni napoletane: belle, ma ero a un party, non posso ricordare quali».



Parliamo dell’album che sta registrando a Parigi, il quarto della sua carriera dopo «Life in cartoon motion» (il folgorante esordio del 2007 con il superhit «Grace Kelly»), «The Boy who knew too much» (2009) e «The origin of love» (2012), senza contare l’antologia dell’anno scorso «Songbook vol. 1».



«Ci stiamo concentrando sul singolo, ma tutto l’album è pronto. L’ho scritto alla mia maniera, di getto, libero da ogni condizionamento, adesso inizia la parte più difficile, quella in cui devo condividere con altri il mio progetto, accettare o rifiutare suggerimenti o compromessi, fare i conti con lo showbusiness».



Pronto per il nuovo ciclo di «X-Factor Italia»?



«Certo. Anche in tv quella iniziale è la fase più eccitante: quel programma lo fanno i concorrenti. Se ne trovi di bravi andrai forte, altrimenti... Ecco, avevo fatto televisione, ma prima del talent show di Sky non mi ci ero mai sporcato le mani. Quando me l’hanno proposto li ho presi per pazzi, ma ho capito che facevano sul serio ed ho detto velocemente sì. In una lingua che non conoscevo, in un Paese che mi piace molto e conosco poco... era perfetto per costringermi a restare me stesso. L’ho fatto e non me ne sono pentito e se poi ho fatto altra tv, ”The voice of France” ad esempio, era perché ormai avevo rotto il ghiaccio. E così, anche rispetto alle case discografiche, sono libero di seguire il mio intuito creativo».
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