SignorHunt, prove di maturità rap | Videointervista al Mattino

Rocco Pagliarulo, alias Rocco Hunt, fotografato da Gaetano Massa
Rocco Pagliarulo, alias Rocco Hunt, fotografato da Gaetano Massa
di Federico Vacalebre
Martedì 20 Ottobre 2015, 15:38 - Ultimo agg. 23 Ottobre, 18:27
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Rocco è cresciuto, Rocco ha cento concerti e milioni di visualizzazioni alle spalle, Rocco ha sistemato economicamente anche la famiglia, Rocco si è fidanzato, ma non è cambiato, è sempre quello della Ciampa, il quartiere salernitano di un'infanzia tutt'altro che agiata, a cui, però, ogni tanto guarda con nostalgia. «Negli ultimi due anni ho corso tanto, collezionando, oltre ai successi e l'affetto dei fans, anche delusioni in anticipo sulla mia età. Così ogni tanto vorrei tornare ad essere lo scugnizzo con poco futuro davanti, ma un presente senza pressioni», confessa Rocco Pagliarulo, il rapper che l'Italia conosce come Rocco Hunt e che ora, come da titolo del nuovo album, si presenta come «SignorHunt»: «Qualcuno pensava che me la tirassi, che davvero avessi indossato giacca e cravatta e reclamassi uno status. Piuttosto confesso di essere nato dalla parte sbagliata del mondo, quella non abituata ad avere, né soldi né cultura: s'ignorant’, sei ignorante, mi dico da solo e nel video mi dà una mano Maccio Capatonda. È orgoglio di classe, è consapevolezza delle radici: chi sa di essere nato tra gli ignoranti per censo può tentare di capire la società, di non restare ignorante per sempre, di non essere mai razzista verso gli ignoranti del pianeta, gli eterni perdenti».

Sono pensose le parole di Rocchino, che ha 21 anni ma non assomiglia ai coetanei-vuoto a perdere che si sono fatti largo nei talent show, anche se ora duetta con Chiara, oltre che con Mario Biondi, presenze inattese e testimoni di una svolta: questo è il disco più (neo)melodico della voce di «’Nu juorno buono», che non tradisce le radici hip hop, ma alterna «le rime alle strofe cantate, il beat alla melodia, nel tentativo di ritrovare le radici di un genere iscritto nella storia del suono black, penso a ”Back in the days” con il vocione di Biondi, il Barry White siciliano». In questo senso va letta anche «Se mi chiami», con Neffa, uno dei primi rapper italiani, oggi matura ugola soul. «L'aver trovato una compagna - lei è campana, non fatemi dire di più, sono timido - mi ha permesso di scrivere pezzi felici, di cantare l'amore come non ho mai fatto, persino di accennare alla voglia di avere un figlio, ma senza tralasciare la mia naturale attenzione al mondo che mi circonda, i versi di ispirazione sociale. Forse, però, ancora più che in passato, il mio è un pensiero positivo, che supera la rabbia, che domanda senza pretendere domande, sperando che prima o poi qualcuno - un governo, un buon maestro, una scuola buona davvero - ci spieghi perché c'è sempre chi nasce sotto e chi sopra, perché la mia generazione dovrebbe considerarsi sconfitta in partenza ed accontentarsi di vivere in casa dei genitori, di lavori precari, di ricominciare ad emigrare».

Tua madre che guarda Barbara D'Urso in tv, un Malpaese che ha corrotto tuo nonno e illuso tuo padre, una periferia bastarda che lascia crescere i suoni come la gramigna, la politica che promette e non mantiene: J-Ax e Gue Pequeno mettono la loro tag in «Una moneta e un sogno». «'O reggae de guaglione» guarda al verbo del santo fumatore Marley già omaggiato in «Vene e vva’», ma poi, citando il John Holt di «Police in helicopter», si trasforma in un classico napoletano, un racconto di chi c'era in principio (’o Zulù, Speaker Cenzou) e di chi è arrivato a raccogliere il testimone (Clementino & Rocchino, appunto). Gioco ribadito anche da «’Nu brutto suonno» con Luchè e, andando ancor più lontano, ai giorni del neapolitan power, da «Eco del mare», il pezzo più atipico ed emozionante del disco, con Avitabile che presta le sue ance modificate, i Bottari e il suo illuminato poetare con le radici nel cemento sbrecciato dalle erbacce: «Chi lotta può perdere, chi non lotta ha perso già».

Il dialetto e l'italiano si alternano senza patire salti stilistici nel disco prodotto da Ketra e Takagi con diversi contributi di producer, «Tengo voglia ’e turnà» dà voce a un bambino che ha l’impressione di non essere ancora cresciuto (e nel booklet lo vediamo fotografato quel piccino, alle prese con il primo microfono della sua vita), «’O posto mio» è un nuovo inno per quelli nati «tra le Palazzine», «Qualcosa di strano» aggiorna la storia di Silvia che sapeva che Luca si bucava (ricordate Carboni?) e di Anna e Marco (ricordate Dalla?). «Maletiempo» e «’Na stanza nostra» confermano l'attenzione al pubblico femminile, anche quello neomelodico, senza snobismi.

E ora? Un ritorno a Sanremo? «Non lo so, Conti è uno serio, mi vorrebbe, l'anno scorso non avevo il pezzo giusto, quest'anno... chissà», conclude il signor Hunt, sempre Rocchino per gli amici.
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