Giusi Giustino: «Ho vestito Nureyev, cosa chiedere di più?»

La storica costumista del San Carlo

Un costume
Un costume
di Donatella Longobardi
Venerdì 8 Marzo 2024, 11:20
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«Ho conosciuto, e vestito, Pavarotti e Nureyev, Bolle e la Kabaivanska, la Netrebko e Kaufmann, cosa chiedere di più?». Per quasi quarant'anni a capo della sartoria del San Carlo, già giovanissima ammessa in teatro come stagista, Giusi Giustino è da qualche settimana in pensione (al suo posto Daniela Ciancio, lunga carriera al cinema dove ha firmato i costumi di «La grande bellezza»). Giustino però continua la sua attività di costumista e, per il San Carlo, dà una mano ai laboratori delle Officine di Vigliena dove si tengono corsi di formazione aperti a tutti e si realizzano piccoli spettacoli che attraggono un pubblico nuovo e giovane aprendosi al territorio. «Lavoro lì già da tre anni», dice, «è un concentrato di grande creatività, un luogo veramente ideale per costruire il teatro di domani. Si va dalla recitazione al canto, dalla scenografia a, appunto, i costumi. Facciamo tutto con poco, spesso riciclando materiali abbandonati con tanta fantasia, davvero una scuola importante anche per la salvaguardia dell'ambiente».

E ora cosa preparate, signora Giustino?
«Dopo lo spettacolo della scuola di ballo, riprendiamo la "Carmen rap" che ha avuto grande successo a novembre, una Carmen napoletana ispirata a Bizet che parla alle donne di oggi e di femminicidio.

Io ho creato costumi molto fantasiosi, quasi tutti abiti presi da vecchi spettacoli cui ho fatto poche aggiunte per renderli più adatti al contesto».

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Vuole raccontare però come nasce un costume per il teatro?
«I costumi di scena non sono vestiti normali, quelli per un balletto sono diversi da quelli per l'opera: il ballerino deve potersi muovere liberamente, quello che indossa non deve nuocere alla coreografia e, visivamente, non deve disturbare. Nell'opera il costume deve sopratutto aiutare il cantante a entrare nel personaggio».

E come si procede?
«Il punto di partenza è lo stretto rapporto con regista e scenografo, ci deve essere un'armonia di fondo, che è anche una questione di colori, tessuti, idee. Si fa un bozzetto, poi la campionatura della stoffa, io spesso dipingo i materiali per dare loro armonia, appunto».

Si tratta di un lavoro di alta artigianalità.
«Devo dire che al San Carlo ci sono sarti bravissimi. Ma oggi certi lavori costano troppo rispetto ai budget che normalmente accompagnano un nuovo allestimento. Bisogna fare di necessità virtù. Certi ricami in oro che adornavano abiti di vecchi spettacoli di Roberto De Simone, per esempio, oggi sono un sogno. Si fa tutto col computer, si disegnano i ricami sulla stoffa e da lontano il pubblico non s'accorge di nulla, quei ricami sono falsi».

I costumi di una volta: lei ha iniziato così?
«Avevo studiato scenografia all'Accademia di Belle Arti e vinto una borsa di studio al San Carlo. Avevo 21 anni. C'era Fantini come commissario. In teatro conobbi Odette Nicoletti, la sua assistente era Annamaria Morelli. Io facevo l'assistente dell'assistente, organizzavo il laboratorio. E ricordo come nacque "Il Flaminio", quei costumi dipinti come le ceramiche di Capodimonte, un patrimonio del teatro che ho inserito spesso in grandi mostre sul Settecento napoletano».

Anche allora il San Carlo era al centro di grandi iniziative.
«Ho un ricordo bellissimo del segretario generale, Mariano Apicella. E era poi arrivato Francesco Canessa come sovrintendente, De Simone come direttore artistico, la Nicoletti firmava i costumi, Carosi le scene, c'era tutto da imparare».

Lei è cresciuta in quella temperie artistica.
«Facevamo spettacoli bellissimi, io ricostruii anche due balletti per Vassiliev e la Maximovna, collaborai con Pabst e con Kuhn che era direttore e regista».

Ma il vero debutto?
«I costumi per "Norma" a Trieste, la protagonista era Katia Ricciarelli».

Lei ha sempre lavorato anche fuori dal San Carlo, le esperienze più significative?
«Tante: una "Manon" a Barcellona, per esempio con Davide Livermore. O un balletto con Luciano Cannito in Russia, o "My fair lady" e altri musical con Tato Russo. Mi piace anche collaborare con gli spettacoli che Giulia Minoli organizza dentro le carceri con la sua onlus. Ho girato tanto il mondo, col San Carlo sono stata in tournée in Cina, in Giappone, negli Stati Uniti. Tutti i dirigenti che si sono avvicendati negli anni mi hanno dato fiducia, e li ringrazio. Ho avuto la possibilità di lavorare con grandi costumisti ospiti come Millenotti, Lai, Squarciapino, con grandi sarti come Capucci e Ungaro. Lo ricordo ancora il couturier francese che amava l'opera e la musica, con le sue forbicine iniziava un lavoro e insegnava l'umiltà a tutti, l'amore e la passione. Straordinario».

Prima diceva di Pavarotti...
«Ho incontrato tanti personaggi incredibili: Kiefer, Curran, Zeffirelli, Bolognini...».

E, ora, il teatro le manca?
«Un po': il quotidiano, la grande famiglia del teatro. Ma poi corro a Vigliena. E continuo il progetto "Indossa l'arte" per realizzare due nuovi foulard in vendita nello shop del teatro, saranno dedicati all'"Otello" di Martone e alla "Madama Butterfly" di Ozpetek».

E poi?
«Chissà, potrei fare l'attrice. Mi hanno fatto i complimenti: erpo nel filmato del funerale girato a San Lorenzo, il filmato che apriva la "Turandot" con la regia di Vasily Barkhatov in scena per la prima di stagione. Il volto serio, cappello nero con veletta di mia madre, ho dovuto faticare non poco. Nella bara c'era un ragazzo, una comparsa, che rideva in continuazione. Ma nessuno se ne è accorto...».

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