Vladimiro Bottone, Il peso del sangue in un thriller di sentimenti

Il romanzo, ambientato nel ’44, parla di un amore sensuale tra una ragazza ebrea e un agente fascista

Vladimiro Bottone
Vladimiro Bottone
di Generoso Picone
Mercoledì 17 Aprile 2024, 07:00 - Ultimo agg. 18 Aprile, 07:58
5 Minuti di Lettura

«Tutto quello che è interessante accade nell’ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini». Vladimiro Bottone pare acquisire la verità declamata da Louis-Ferdinand Céline nel Viaggio al termine della notte per tracciare la linea di equilibrio sulla quale disporre la trama di Il peso del sangue, il suo nuovo romanzo (Solferino, pagine 332, euro 19), in uscita dopodomani. 

È il racconto di una vicenda d’amore sensuale e intenso che si sviluppa nella Torino dell’autunno 1944, in un tempo immediatamente successivo all’8 settembre 1943 che ha scandito l’inizio di una nuova guerra, senza divise a distinguersi né convenzioni internazionali a porre regole, combattuta nel cortile di casa e con l’abbassamento delle garanzie del diritto al minimo essenziale: la passione tra una ragazza ebrea scampata alla deportazione della sua famiglia, e un agente dell’Ovra, la Polizia fascista, declinata su una sorta di rovescio degli eventi che progressivamente si libera dalle doppiezze imposte per compiere il suo «voyage».

Per provare a resistere, a dispetto delle invettive di Ferdinard Bardamu che nella trama compaiono come citazioni dall’effetto cognitivo, alla disillusione nichilista conferita dalle atrocità ai gesti degli uomini; per intraprendere così il percorso inquieto au bout de la nuit e giungere alla verità. A quella verità che, ancora una volta con le parole di Céline, è soltanto infinita agonia. 

Bottone sceglie uno scenario dal preciso valore simbolico dove svolgere la sua ulteriore immersione letteraria nelle profondità dei sentimenti segreti, negli ambiti dell’imperfezione umana, nel sottosuolo dove il Bene e il Male coesistono fino a impastarsi in un’unica contraddittoria materia. Sotto questo aspetto Il peso del sangue costituisce un punto di approdo di una ricerca nelle forme della scrittura articolatasi lungo la traiettoria della narrazione di ambientazione storica che ha interrogato la città di Napoli – luogo purgatoriale d’eccellenza prestato a ogni ambivalenza - in L’ospite della vita, Rebis e Vicaria o misurandosi con le insidie dell’ignoto e il perturbante dei traumi in La principessa di Atlantide, Gli immortali e Non c’ero mai stato. Qui l’intreccio tra pulsioni individuali e temperie della Storia è collocato in un frangente la cui straordinarietà fa risaltare l’ambivalenza dei comportamenti e l’ambiguità costitutiva dei personaggi, tutti colti sul crinale fragile che dal terreno del giusto cede verso la caduta nella colpa.

Il peso del sangue si apre con una sequenza dominata da disperazione e fatalità. Myriam Pescarolo scampa alla retata dei repubblichini di Salò grazie a una mossa dei genitori che la dichiarano come la domestica di casa: diventa Rosanna Arduino, fugge affamata e sola, salvata da un linciaggio da Troise, funzionario dell’Ovra, fascista ma con malintese convinzioni, di origine napoletana e in missione a Torino per riattivare la rete degli informatori. Lui è attratto da Myriam-Rosanna, la protegge e l’accoglie nel suo appartamento, la presenta come la sorella Elena. L’ama, si amano, in un rapporto di nemici-amanti sul filo di un’ambiguità che appare ormai consapevole e incrocia quella che emerge nella famiglia dello storico dell’arte Alberganti, dove i figli Emanuela e Alfredo sono antifascisti e fiancheggiatori della Resistenza. Allievo del professore è Carlo Musso, giovane animato dall’ansia di riscattare l’umile provenienza e la condizione di handicap fisico tentando la carriera universitaria. È invaghito di Emanuela e si accompagna al Viaggio al termine della notte di Céline. Il controcanto di Il peso del sangue. 

Bottone costruisce le sue pagine con il ritmo di un thriller. Myriam e Troise sono coinvolti in smascheramenti, intrighi, assassinii, svelamenti, depistaggi, doppi giochi, machiavellismi e scelte tragiche, ulteriori salvataggi e colpi di scena: Roberto Grimi il collaborazionista delle Ss, Guido Leto il capo dell’Ovra, i carnefici delle prigioni repubblichine torturatori di Troise, la tormentata umanità di quei giorni sbandati brancola nella follia tesa a un plausibile domani. «Tutto torna per chiederti conto, per chiudere il cerchio con un contrappasso. Fuori si intravede un chiarore rossastro da incendio». Per Myriam e Troise l’unione si salda nel sangue, «il sangue è più forte di tutto. Il nuovo sangue è più forte di tutto. Il nuovo sangue è più forte del vecchio, la vita funziona così». È l’annuncio di una nascita, di un figlio da cui poter ricominciare. Il sangue che redime, che rigenera, che riscatta.

Myriam rivede allora l’immagine del fratello Alberto, lasciato nell’atto dell’abbandono che decretò la propria salvezza. Lui sa. «Traghettato all’altra sponda della realtà. Ora ad Alberto sembra tutto così infinitamente dolce e inesorabile, a monte e a valle di noi. Dolce e fluviale. Dolce, ferroso e oscuro come il sangue». Lui, alla maniera di Jorge Luis Borges in L’Aleph, può dire che «ogni destino, per quanto lungo e complesso che sia, comprende in realtà un solo istante: quello in cui l’uomo sa per sempre chi è». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA