Bruno Maida, Sciuscià di ieri e di oggi: la piaga non è sconfitta

Un saggio di Maida racconta l’infanzia rubata nell’Italia del 1943-48

Una foto di scena di "Sciuscià" di Vittorio De Sica, Oscar nel 1947 ANSA
Una foto di scena di "Sciuscià" di Vittorio De Sica, Oscar nel 1947 ANSA
di Giuseppe Montesano
Lunedì 15 Aprile 2024, 07:00 - Ultimo agg. 18:20
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È appena uscito un libro dello storico Bruno Maida, si intitola Sciuscià. Bambini e ragazzi di strada nell’Italia del dopoguerra. 1943-1948, pubblicato da Einaudi Storia: un libro bello, da leggere.

Vi compaiono «Sciuscià» di De Sica e «Germania anno zero» di Rossellini, il magnifico Napoli ’44 di Lewis e l’iperrealistico La pelle di Malaparte, testimonianze quindi di letteratura e cinema «alti»: ma vi compaiono anche molti film che sotto l’aspetto dell’arte potrebbero restare ibernati nelle cineteche, ma che Maida adopera bene in duplice maniera: cercando sotto le patine sentimentali-ideologiche gli elementi testimoniali «reali», pochi però importanti; e li adopera per gettare luce sul modo in cui si rappresentava il fenomeno degli «sciuscià», e quindi come testimonianza della mentalità con la quale ci si accostava alla questione.

Sciuscià ne guadagna nella visione prospettica della realtà filtrata dalla cultura come propaganda, scavando così in un terreno culturale in cui vediamo con maggiori sfumature i «fatti», mai esenti da interpretazione: allora come oggi.

Sciuscià racconta molto anche attraverso le cifre che, come accade quando sono maneggiate da un vero storico, riescono quasi a parlare da sole: come quando si scopre che la mortalità infantile nell’anno 1948 in Italia è molto più alta che in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, e che la mortalità infantile aumenta per i figli illegittimi, orfani e abbandonati; o quando l’Unesco nel 1948 accerta 390.000 bambini italiani in istituti, e poi che tra il 1945 e il 1955 non c’è alcun miglioramento delle condizioni disagiate dei bambini negli istituti; e quando l’Unesco dichiara che 390.000 è una cifra accertata, ma è imprecisa per difetto: gli sciuscià, di vario genere, sono certo di più.

Maida racconta anche le esperienze di accoglienza all’avanguardia, come il Villaggio del Fanciullo di Civitavecchia guidato da don Rivolta e dall’educatore Goens, «una sorta di libero Stato democratico dove sono i bambini-cittadini a determinare le regole e i compiti», e la mitica Nomadelphia di don Zeno Saltini, esperienza straordinaria oggetto anche di un gran reportage di Anna Maria Ortese, Nomadelphia città libera dei ragazzi che la Chiesa, con la complicità del ministro democristiano Scelba, riuscì a far chiudere: esperienze che potevano essere il futuro e furono ingoiate dal passato che non passa.

Ma sarebbero troppe le cose da citare da Sciuscià, dove Maida riesce a essere documentato e non ideologizzante e, soprattutto, cerca una chiarezza espositiva quasi narrativa, priva dei tristissimi vezzi accademici. Il libro si chiude con le pagine sui nuovi sciuscià, dove secondo i dati 2023 di Save the Children «in Italia il 20 per cento dei minori tra i 14 e i 15 anni ha svolto o svolge un’attività lavorativa», con la conseguenza che carceri e servizi per la delinquenza minorile sono pieni di adolescenti esclusi dal sistema scolastico: e fuori dall’Occidente è ancora peggio.

Noi, che non siamo storici ma fantasticanti scrittori, aggiungiamo che «forse» i 336.000 minorenni di cui parlano i dati non conteggiano, in quanto «sommersi», decine e decine di migliaia di minori, e che a tutti noi toccherebbe capire che oggi dietro lo slogan «va tutto bene» si ripetono i circoli viziosi in cui povertà e non-educazione rimano con criminalità. Nel 1945 a Napoli gli sciuscià «certi» erano 75.000, più che a Milano e Roma: ma oggi, nelle Scampie occidentali e nelle più drammatiche periferie universali, quanti sono i minori abusati, prostituiti, sfruttati? E quanto incide su ciò il distacco dalla scuola?

E, sempre come in un circolo vizioso: quanto queste realtà incidono sul malessere/benessere della società? E viceversa: quanto sono davvero operativi Stato e società nell’affrontare questa disgregazione al cuore della quale ci sono le diseguaglianze enormi e la coltivazione, da parte della «cultura» serva o imbelle, di una ignoranza presuntuosa per cui nel tragico cabaret dei media e dei social si guarda sempre il dito e mai la luna?

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Quanto lavoro da fare, per gli storici! Leggendo Sciuscià anche un po’ contropelo, si capirà tra l’altro che evidentemente, come scriveva Montale, la Storia non è maestra di nulla: ma anche che, altrettanto evidentemente, senza di essa siamo più ciechi sulle stratificazioni della realtà, e meno accorti nel capire che il «passato» non è superato solo perché è passato il tempo. Forza, lettore che non ami la Storia perché hai letto pessimi libri di Storia: questo Sciuscià di Bruno Maida ti farà cambiare idea.

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