Anna a 110 anni fa causa alle Poste: «Ho trovato un titolo da 25 milioni di lire. Oggi vale 195mila euro, ma non vogliono rimborsarmelo»

Il buono fruttifero è stato emesso il 19 maggio del 1987, lei lo ha trovato per caso ma secondo l'Istituto sarebbe prescritto

Anna a 110 anni fa causa alle Poste: «Ho trovato un titolo da 25 milioni di lire. Oggi vale 195mila euro, ma non vogliono rimborsarmelo»
Anna a 110 anni fa causa alle Poste: «Ho trovato un titolo da 25 milioni di lire. Oggi vale 195mila euro, ma non vogliono rimborsarmelo»
 Valerio Salvianidi Valerio Salviani
Giovedì 11 Aprile 2024, 19:00
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Non è mai troppo tardi per sperare di incassare una cifra da capogiro. Neanche a 110 anni, quando la vita ti ha regalato un tempo extra per continuare a sognare. La signora Anna L., classe 1913 di Lanciano (Chieti) ma residente a Roma, era convinta di riuscire a incassare il suo buono postale fruttifero da 25 milioni, scoperto per caso solo di recente nella casa di famiglia. Però, quando si è rivolta alle Poste, la risposta ricevuta non è stata quella che sperava. «Signora, questo buono è prescritto, non possiamo aiutarla», si è sentita dire Anna. Lei però non si è data per vinta. Così si è rivolta all'Associazione Giustitalia per provare a ottenere quello che ritiene essere suo. 

La signora Anna fa causa a Poste Italiane

Il buono è stato emesso il 19 maggio del 1987. Con un calcolo degli interessi fatto dall'associazione che sta seguendo la signora, adesso varrebbe 195mila euro. Poste italiane sostengono che il Titolo di credito sia prescritto e, comunque, avevano effettuato un calcolo “al ribasso” ammontante a poco più di 110 mila euro. 

«Per quanto concerne la prescrizione, il BPF non risulta affatto prescritto.

Infatti l'art. 2935 c.c. statuisce che "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere"», dicono dall'associazione Giustitalia. «Il giorno iniziale di decorrenza della prescrizione coincide con il giorno del ritrovamento del Titolo di credito in quanto precedentemente la titolare non era nemmeno a conoscenza dell'esistenza dello stesso e, quindi, di certo, non si sarebbe potuta attivare per la riscossione», spiegano. 

Il valore del buono fruttifero 

«Per quanto concerne il valore di rimborso, in realtà ad un più attento esame della giurisprudenza di merito e delle recenti decisioni dell'Arbitrato Bancario Finanziario, è emerso che l'importo dovuto era praticamente più del doppio rispetto a quello prospettato da Poste in quanto i tassi di interessi che devono essere applicati sono quelli stampati sul retro del buono e non quelli (notevolmente inferiori) che si sono succeduti nel corso degli anni (peraltro sempre più bassi a causa dell'inflazione sempre crescente)», dicono ancora dall'associazione.

 «In linea generale, infatti, occorre considerare che la capitalizzazione al netto della ritenuta fiscale, per ciascuno dei primi 20 anni di durata dei Buoni, è illegittima in quanto in tale caso verrebbe anticipato il momento impositivo previsto dalla normativa primaria. L’articolo 26 del Dpr 600 del 1973, prevede infatti l’applicazione della ritenuta in base al principio di “cassa” e non a quello della maturazione. E i Bfp a differenza dei Btp non distribuiscono cedole nel corso della loro durata - dicono - Gli interessi maturano ogni bimestre e vengono incassati dal sottoscrittore solo quando si presenta all’ufficio postale per riscuotere il montante. Non è quindi equo anticipare l’applicazione dell’imposta, anche perché la ritenuta fiscale viene girata dalle Poste allo Stato solo quando il sottoscrittore presenta il Bfp all’incasso». 

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La spiegazione di Poste

 «Poste ritiene di applicare tale metodologia di calcolo sulla base dell’articolo 7 comma 3 del Dm 23 giugno 1997, ma tale norma precisa semplicemente che sul montante dei Buoni Serie Q gli interessi “continueranno” a essere applicati annualmente al netto della ritenuta fiscale», dice l'associazione. Per questo motivo la signora Anna ha deciso di presentare un ricorso per decreto ingiuntivo davanti al Giudice di Pace di Roma, chiedendo appunto un rimborso di 195mila euro. 

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