La rabbia al Rione Traiano: «bruceremo tutto». Nella notte cittadini scambiati per poliziotti e aggrediti

La rabbia al Rione Traiano: «bruceremo tutto». Nella notte cittadini scambiati per poliziotti e aggrediti
Sabato 6 Settembre 2014, 02:57 - Ultimo agg. 2 Ottobre, 13:23
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NAPOLI - Se dalle parole passeranno ai fatti, c'è davvero il rischio che il Rione Traiano diventi una Ferguson italiana. Le minacce sono agguerrite. Le donne, come Erinni spuntate da una tragedia greca, annunciano, nella rabbia montante per la morte del diciassettenne Davide Bifolco per mano di un carabiniere, di bruciare tutto. «Cominceremo dai pullman» grida una signora al volante che ferma di botto l'utilitaria davanti alla chiesa di Maria Immacolata della Medaglia Miracolosa appena vede, con occhio di falco, il taccuino e la penna. «Venite qua, giornalista, venite qua» invita. «Hanno ucciso un figlio nostro. E mo' è meglio che le guardie non si fanno più vedere nel rione». Sono le uniche espressioni riferibili di un'ira funesta e diffusa. Perché ieri era il giorno del lutto più crudo. Si invocava giustizia, ma si pensava alla vendetta.



Il Rione Traiano, formalmente parte di Soccavo, a ridosso di Fuorigrotta, è un mondo a parte. Una Scampia, prima di Scampia e privata dello scenografico squallore post-pasolinano delle Vele. Palazzine basse rivestite di mattoni, dove riluce solo l'alluminio anodizzato. Vialoni pensati alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso da urbanisti che si ispiravano a città medievali, periferie scandinave le park-away americane. Un progetto ambizioso che, come sempre accade, calato a Napoli, diventa degrado, superfetazione. Ed è subito ghetto con spartitraffico di oleandri pieni di monnezza sfusa, edifici scrostati, bancarelle probabilmente abusive. Un paesaggio tipico della corona di spine napoletana, che si moltiplica come un in videogioco impazzito. I servizi pubblici, qui, sono al lumicino. Ci si muove con i bus e la Cumana. Quando passa. Mentre si aspetta la leggendaria stazione del metrò firmata da Anish Kapoor.



In strada un gruppo di ragazzi, uomini e donne. Discutono animatamente della notte di sangue nel rione. C'è poco da capire, sono quasi tutte dichiarazioni di guerra. «Lo vedete? quel mucchio di pietre vicino al marciapiede» fa una giovane matrona in canotta e indica un mucchio di sfravecatura. «Lo teniamo lì perché i sassi dobbiamo usarli contro le guardie, se hanno il coraggio di ripresentarsi dopo l'assassinio di Davide».



L'altra notte, a caldo, sono state danneggiate alcune auto delle forze dell'ordine e nel pomeriggio caldo e umido non se ne vedono in giro, dove, invece, è tutto uno sfrecciare di scooter. Sfilano pure a breve distanza due Ferrari: una rossa e una grigia 612 Scaglietti. Presenze abituali. Attorno e sullo spartitraffico di viale Traiano dove si è consumata la tragedia insiste un gruppo mobile di presenzialisti. Uomini e donne si sfogano davanti alle telecamere. Raccontano all'infinito, arricchendola di nuovi particolari, la morte di «quel figlio di mamma». Tutti lo conoscevano e tutti ne difendono la memoria di ragazzino incensurato, in un quartiere dove è complicato mantenere la fedina penale pulita, persino a 17 anni. Annunciano una fiaccolata per oggi pomeriggio. Sul terriccio sporco, appoggiato a un cespuglio, hanno posato una tavola di legno, il pezzo marrone di un mobile, raccattato chissà dove. Con il pennarello rosso una mano pietosa ha scritto solo tre lettere «Rip», riposa in pace. Sopra hanno appoggiato due mazzi di fiori e accanto c'è una foto di Hamsik. Un primo mausoleo improvvisato.



C'è, però, al Rione Traiano una parte maggioritaria rimasta silente, come sempre accade, vittima e ostaggio di una guerra tra microcriminalità e forze dell'ordine e tra opposte bande che si parcellizzano in microclan per il controllo, anche attraverso un complesso sistema di videosorveglianza clandestino, delle piazze di spaccio. È la faccia pulita e segreta di una periferia, dove si trascina la propria vita quotidiana scansando i guai, sentendosi come birilli in un gigantesco bowling.



E uno di loro nella notte è stato aggredito. M.G. lo racconta sul suo profilo fb. «Siamo stati aggrediti da un gruppo di persone che ci aveva scambiato per forze dell'ordine solamente perché avevamo una punto blu! Ovviamente all'intimidazione di fermarci abbiamo rallentato ma quando si sono riversati sull'auto potevamo solo scappare!». Vetri dell'auto in frantumi, tanta paura e il guidatore in ospedale.