Geolier all'Università Federico II di Napoli: «A 10 anni già lavoravo, peccato non studiare»

«Una Laurea mi sarebbe servita per spiegare meglio i pensieri»

Geolier all'Università Federico II di Napoli
Geolier all'Università Federico II di Napoli
Federico Vacalebredi Federico Vacalebre
Martedì 26 Marzo 2024, 23:33 - Ultimo agg. 27 Marzo, 16:12
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Shakespeare insegna, sempre: tanto rumore per nulla. Geolier termina il suo incontro alla Federico II, sede di Scampia, regalando un selfie a ognuno degli studenti che ha seguito l’incontro, caloroso, partecipato, lontano dalle polemiche sciocche che lo hanno preceduto. Nessuno spazio, se non in un moderato accenno del rettore Lorito, per rispondere ai critici dell’operazione, ai censori del rapper genius loci, o, nelle parole, da lontano, di Roberto Saviano: «Tutto quello che è confronto ben venga, ma davvero fate? Davvero che non voleva Geolier all’ateneo?». Serafico, Emanuel festeggia il suo onomastico, ma anche i 24 anni compiuti il 23 marzo scorso, tra gli universitari, si gode la loro curiosità e affetto con una premessa: «Onorato di essere qui, ma, sia chiaro, io non ho nulla da insegnarvi, al massimo me putite impara’ qualcosa vuie a me». Applausi, naturalmente, come a ogni risposta: le domande, raccolte preventivamente dagli studenti, le porge Pierluigi Razzano, del laboratorio radiofonico d’ateneo.

I ragazzi di oggi. «Chi sono? Chi siamo? Questi qua dentro e quelli là fuori.

Con i nostri sogni. C’è chi fa tutto per farsi vedere sui social e chi resta comodo a guardare gli altri a bordo campo. Ma c’è soprattutto chi si applica tutta una vita per una laurea, un disco, una promozione sul lavoro, un figlio e queste cose non le mette su uno status di Instagram».

 

L’ansia di prestazione. «Dobbiamo imparare a non correre, a rialzarci quando cadiamo: quel traguardo mancato è il più importante della nostra vita e non ci sarà nessuno ad aspettarci».

La popolarità. «Non mi ha tolto niente, perché non mi piace uscire, andare per locali... Poi c’è il mio rione, dove nessuno mi ferma: sanno che torno quando devo ricaricare le pile, quando voglio starmene tranquillo a casa. Se un giorno mi sveglio incazzato non esco: quando lo faccio voglio distribuire amore, come adesso. E amore ho indietro: tra i privilegi c’è quello che a Napoli per tutti sono Emanuele, nessuno mi chiama Geolier». I pregiudizi. «Premesso che tutti i pregiudizi sono sbagliati, quelli su Napoli sono peggio. Scampia, Secondigliano, il rione Gescal conoscono il bene e il male come tutte le periferie del mondo. Prendete il posto dove stiamo: c’è l’università, non solo la malavita organizzata. Spesso, quando qualche collega rapper mi raggiunge da Milano per lavorare con me mi chiede: “Ma posso mettere l’orologio? Tolgo la collana d’oro? Ma voi lo indossate il casco?”. Ho sempre risposto loro a muso duro: a Milano scippano anche più che a Napoli».

Il rimpianto. «Mi dispiace solo non aver studiato, mi sarebbe servito per spiegare meglio i miei pensieri a tutti. Lo sa bene il mio manager, Enzo Chiummariello, com’ero spaventato alle prime interviste. Ma è stata una mia scelta: a 10 anni già mi dava fastidio chiedere soldi a mammà, così per essere indipendente lavoravo nell’impresa di famiglia, facevo le minuterie dei lampadari: alle 14, quando i miei coetanei guardavano i Simpsons, io ievo a fatica’. Non mi sono mai sentito un bambino, ma l’ho scelto io. Cosa avrei voluto studiare? Musica, magari al conservatorio». Il rap. «La musica mi ha preso da sempre, il rap è arrivato con le storie da raccontare. Sono cresciuto con i Co’Sang, Nas, 50 Cent. A 8-9 anni già litigavo con mammà perchè volevo andare alle jam session in piazza Ciro Esposito».

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I genitori punto di riferimento. «Se mia madre mi telefona mentre sto registrando e non le rispondo, quando poi la richiamo e le spiego che stavo facendo una cosa importante lei mi dice “Embè?”. Come a dire: fosse cchiù ‘mportante ‘e me chella cosa? Papà parla poco, ma quando lo fa impone il silenzio, rubo le sue rare parole, vorrei essere come lui. Quando, agli esordi, ho scritto brani più forti, come a volte il rap pretende, lui veniva da me scuotendo la testa. Con “L’ultima poesia”, il singolo inciso con Ultimo, per la prima volta mi ha dato un’approvazione piena». Il futuro. «Voglio avere un sacco di figli, ma intanto c’è il nuovo disco, i tre sold out al Maradona: so che non torneranno più, che questo è il mio momento, ma voglio seminare bene, così da potermi permettere uno stadio all’anno per tutta la vita».

L’arte. «È cura e intrattenimento, l’educazione spetta ad altri. Ma ho deciso di essere responsabile nei miei versi». Napoli. «Napule mi ha creato, non potrei mai andare via. Anzi, vorrei spostare qui un po’ dell’industria musicale italiana. Nel rap, e non solo, un po’ ci stiamo riuscendo». La periferia. «Noi che veniamo dai margini siamo più forti. Abbiamo una fame negli occhi che gli altri non hanno».

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