Proselitismo e radicalizzazione
«Nell'Isis come nella camorra»

Proselitismo e radicalizzazione «Nell'Isis come nella camorra»
di Rossella Grasso
Venerdì 30 Giugno 2017, 22:11 - Ultimo agg. 22:13
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Si radicalizza soprattutto tra i più giovani che soffrono disagio sociale e si sentono esclusi. Affascina soprattutto per i guadagni economici o di importanza all’interno del gruppo. È collegata a un forte sistema parallelo a quello statale. È difficile capire se si stia parlando di camorra o dell’Isis: due sistemi lontanissimi ma basati sugli stessi criteri. Se ne è discusso durante l’incontro dal titolo «Proselitismo e radicalizzazione nell’adolescenza», organizzato dall’associazione L.I.B.R.A. nella chiesa Donna Romita di via Paladino. Psicologi, sociologi, operatori del settore e associazioni hanno preso parte al dibattito per capire cosa spinga i più giovani a radicalizzarsi nel sistema del Daesh o della criminalità organizzata.
 


«La matrice è comune – ha spiegato Nicola Quatrano, magistrato e presidente dell’Osservatorio Internazionale per i Diritti – i giovani pusher per esempio diventano pericolosi quando viene prospettata loro la possibilità di un grande guadagno all’interno di un sistema che muove tanti soldi. È una specie di integralismo laico, proprio come quello che in qualche modo muove chi si radicalizza nell’Isis. Se poi di mezzo ci sono anche le armi diventa tutto ancora più affascinante».

All’incontro è intervenuto anche Gianluca Guida, direttore dell’Istituto Penale Minorile di Nisida. «In comune questi ragazzi hanno una difficoltà di distinguere il reale da ciò che non lo è. Non hanno nemmeno percezione della morte. Soffrono ansia da stress: sono investiti da una responsabilità più grande di loro e cedono facilmente». Il direttore ha spiegato che giovani investiti del compito di boss spesso non hanno la forza di questo ruolo. Basti pensare alle intercettazioni di Gennaro Buonerba: «Mentre con i suoi pianificava un omicidio erano tutti preoccupati da quale maglietta dovessero indossare. Sono persone evidentemente molto fragili».

Per Celeste Giordano, psicologa, è proprio questa debolezza a rendere i ragazzi facili prede della criminalità o della radicalizzazione dell’Isis. «Sono arrabbiati con la società che li ha marginalizzati, cercano la notorietà anche tramite il martirio o il pericolo - ha detto – sono certi che la vita può andare solo così e cercano l’onnipotenza uccidendo soltanto per mascherare la loro debolezza, sentono il bisogno di apparire il contrario di quello che sono. Credono di non essere buoni a nulla tanto che quando si confrontano con gli operatori si meravigliano che qualcuno possa credere in loro».

Per combattere questi due generi di radicalizzazione bisognerebbe andare alla radice e combattere il sistema. Un’operazione non da poco ma la speranza c’è e risiede nel lavoro di quanti lavorano nelle carceri o a stretto contatto con chi soffre il disagio sociale che può lavorare sui singoli per far capire loro che un’altra strada per essere qualcuno c’è.
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