​Giannola: «La fuga dei giovani rischia di essere senza ritorno»

di Cinzia Peluso
Mercoledì 25 Marzo 2015, 23:37 - Ultimo agg. 23:38
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«Basta con le solite litanie. Non serve accelerare la spesa dei fondi europei al Sud. Non è questo il problema. La soluzione è una scelta politica forte, un piano nazionale in cui il Mezzogiorno abbia un ruolo fondamentale». Adriano Giannola, presidente della Svimez, è critico nei confronti del governo: «Tutti parlano e nessuno fa». «L’idea di Boccia di concentrarsi su 5-6 grandi progetti di investimento è sana», osserva l’economista, grande esperto della questione meridionale, «invece oggi che succede? Di fatto si spende di meno. Ad esempio usando i fondi per fare la decontribuzione per il Jobs act».



Il Sud perde colpi, anche dal punto di vista delle iscrizioni alle università...

«È vero, questo fenomeno è molto grave. Così perdiamo moltissimo, sia in termini di costi per le famiglie, che di manodopera e demografici. Infatti, difficilmente questi giovani ritorneranno. In 20 o 30 anni ci sarà un calo di 4 milioni di abitanti e il Sud perderà la base demografica per la riproduzione».

Eppure, qualche tempo fa Renzi ha richiamato l’attenzione del governo sul Mezzogiorno. Anche se poi il nodo della creazione di un ministero ad hoc è rimasto ancora irrisolto. Lei crede in una svolta della politica dell’esecutivo?

«Quella della creazione del ministero può essere una buona e una cattiva notizia. Sarebbe positivo se andasse, come si dice, al sottosegretario Delrio che ha le deleghe sui fondi europei ed è alla presidenza del Consiglio. Un mandato con delle deleghe precise sarebbe infatti un segnale di impegno. Invece, non si sa ancora bene se si tratterà di un ministero con o senza portafoglio. Al momento non mi sembra che ci sia nulla di definito».

La convince la strada imboccata dal governo?

«Non ho la più pallida idea dell’immagine che ha Renzi del Meridione. Credo che sia poco precisa, non per colpa sua, perché mezza Italia in realtà ne sa poco. Il problema della spesa dei fondi Ue è la solita litania che si ripete dal 1998. Ci si accorge che il Mezzogiorno è in crisi e si deve accelerare la spesa, ma poi di fatto si spende di meno perché si cofinanzia di meno, ad esempio usando i fondi per fare la decontribuzione per il Jobs act».

Quindi, ci sarebbe nei fatti poca sensibilità al problema?

«La questione è che non deve essere un’emergenza del resto del Paese, ma il punto focale della ripresa dell’economia, non perché investiamo un po’ di soldi e aumenta la domanda ma perché comincia a risolverci dei problemi strutturali dell’economia italiana, non del Mezzogiorno. Eppure oggi non c’è nemmeno un progetto».

Raggiungiamo a malapena il 30% degli impegni di spesa dei fondi Ue. Il commissario Cretu ieri ha strigliato l’Italia. Ma il sottosegretario Delrio è ottimista. La nuova programmazione porrebbe rimedio ai ritardi regionali e nazionali con la mancanza di progetti seri cantierabili e una macchina amministrativa inefficiente...

«Tutte cose che vanno benissimo ma non risolvono il problema. Si spende per iniziative che non hanno senso».

Professore, il presidente Pd della commissione Bilancio, Francesco Boccia, propone di concentrare la programmazione 2014-2020 su 5-6 grandi investimenti, banda larga, porti, interporti, logistica, aeroporti e università. È d’accordo?

«Sono le idee che la Svimez propone da cinque anni. Anche se cinque opere sono già troppe. Ne basterebbero due, tre. Penso, ad esempio a Gioia Tauro come grande porto di ingresso in Europa, che potrebbe contenere attività di logistica, la rete per la banda larga, i retroporti. Oppure ad un piano di rigenerazione urbana ed energetico per Napoli, un’area metropolitana con 4 milioni di abitanti. Anche per la gestione dell’acqua, il grande progetto che già esiste avrebbe un sensio strategico. La filosofia è che è sbagliato puntare sul piccolo e bello. Non cambia nulla».

Le idee di Boccia, secondo lei, hanno buone possibilità di essere applicate?

«Si tratta di idee sane, però tutti dicono ma nessuno fa. Il ministro Trigilia aveva individuato 300 investimenti da realizzare. Poi li aveva ridotti. Oggi sono ridiventati 250-300. Si tratta di soldi spesi senza un coordinamento».

Si è parlato di cabina di regia per accelerare la spesa del governo e di altre infrastrutture burocratiche. Servono realmente?

«Non dico che sono inutili. Ad esempio, la Cassa per il Mezzogiorno è stata fondamentale. Allora fate un’agenzia come la Cassa, dategli i soldi e fateglieli spendere in autonomia rispetto alle Regioni e al governo. Ma non è questo che hanno in mente. Il governo si dovrebbe assumere in prima persona la responsabilità e fare un piano. Io non dico che bisogna rifare la Cassa, che è finita nell’84 e poi le è subentrata l’Agenzia. Chi ha denunciato le cattedrali nel deserto realizzate dalla Cassa non ha adeguate conoscenze storiche. Meno male che ci sono state le cattedrali, altrimenti l’Italia sarebbe fallita e non ci sarebbe stato alcun miracolo economico. Oggi non serve un’Agenzia per monitorare. Piuttosto deve agire. Ma c’è la competenza al Centro e in periferia per fare questo? Bisogna avere volontà e risorse».

Non ci aiuterà allora la risalita del Pil nel 2015, come ha previsto Delrio?

«Non è risolutiva. Anche perché si avrebbe una crescita dell’1,5% del Pil nazionale e di poco più dello 0,7% al Sud se si spendessero tutti i fondi Ue. Ma questo significa accettare la stagnazione, una crescita non adeguata a quanto si è perso. Il grande malato d’Europa ha ceduto il 15% e servono almeno dieci anni per ritornare ai livelli pre-crisi. Per far risalire il Pil, del 2-3% l’anno, si deve trovare un meccanismo che trascina il Mezzogiorno e il resto d’Italia».

In questo meccanismo come si risolve il rebus dell’elevata disoccupazione, dei redditi bassi, e soprattutto dell’imposizione fiscale più alta nel Meridione?

«Facendo, appunto, investimenti, massicci interventi nei porti, nel settore dell’energia. In pratica inaugurando una strategia nazionale. Solo così l’Italia potrà uscire da questo vicolo cieco in cui si è cacciata. Il ministro dell’Economia pensa, invece, che ripartiremo perché ripartirà il resto del mondo e teniamo i conti in ordine. Non è una tesi che può funzionare».