Mario Paciolla, Sos dei genitori: «Si continui a indagare»

La madre e il padre del cooperante morto in Colombia in visita al Mattino: «Non si è ucciso»

I genitori di Mario Paciolla
I genitori di Mario Paciolla
di Giuliana Covella
Venerdì 8 Marzo 2024, 23:37 - Ultimo agg. 10 Marzo, 09:00
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«Chiediamo giustizia non solo per nostro figlio, ma per tutti i ragazzi che lottano per i diritti umani nel mondo». Anna Motta e Giuseppe Paciolla, genitori di Mario, hanno rinnovato il loro appello in nome della verità per la morte del figlio nel corso di una lunga intervista con il direttore de “Il Mattino” Francesco de Core.

Accompagnati dalla giornalista Désirée Klain, portavoce di Articolo21 per Campania e direttrice del festival “Imbavagliati”, i familiari del cooperante napoletano di 33 anni trovato impiccato nella sua casa a San Vicente del Caguàn in Colombia il 15 luglio 2020, hanno ripercorso le tappe di un’intricata vicenda.

Paciolla si trovava lì come volontario osservatore dell'Onu per il rispetto degli accordi di pace tra governo locale ed ex ribelli delle Farc (le Forze armate rivoluzionarie colombiane). La sua morte ha tuttora numerosi lati oscuri, tanto che la famiglia, assistita da Alessandra Ballerini ed Emanuela Motta, invoca giustizia alla vigilia di una data decisiva per l'intera vicenda: il 9 maggio, infatti, scadranno i sei mesi stabiliti dal giudice per ulteriori indagini.

I giudici avevano aperto un fascicolo sulla morte per omicidio contro ignoti, ma gli accertamenti finora non hanno portato a nulla. Per questo i pm avevano chiesto l’archiviazione (respinta lo scorso 9 novembre). 

«Se vuoi capire tutto, guardati il film “Sergio”»: così Mario Paciolla diceva al papà Giuseppe quando gli chiedeva in che consistesse il suo lavoro. Un film che racconta la vita di un diplomatico brasiliano morto nel 2003 in un attentato a Baghdad, dove si trovava come rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l’Iraq. Parte da questo ricordo, tra i tanti, il significato di una vita votata alla salvaguardia dei diritti umani quella di Mario, che il giorno prima di morire aveva comunicato alla famiglia la decisione di rientrare in Italia.

«Aveva disdetto abbonamenti, preparato la valigia e fatto i biglietti per partire assieme all’ex fidanzata - spiegano i genitori - non avrebbe mai pensato al suicidio». Ma c’è di più. «Mesi prima, a Natale, aveva notato che la password del wifi era la stessa dell’appartamento accanto e aveva cancellato dai social ogni riferimento alle questioni di cui si stava occupando. Nello stesso periodo ebbe incontri con la Croce Rossa internazionale e con la Fao. Fino a cinque giorni prima di quel 15 luglio, in cui ci manifestò la sua inquietudine. Non si sentiva più sicuro lì e voleva tornare da noi. Il giorno dopo, verso le 22, siamo stati avvisati con una telefonata della sua morte, avvenuta 12 ore prima». 

 

Resta un mistero cosa sia accaduto quella sera, quando Mario scrisse all’Ambasciata per dire che avrebbe lasciato il Paese. Eppure finora l’idea che si è voluta far passare è che il giovane si sia tolto la vita. Un’idea a cui i familiari non credono. «Attraverso le perizie si evince che per la sua bassa statura non avrebbe potuto suicidarsi; secondo gli inquirenti avrebbe prima tentato di tagliarsi le vene e poi si sarebbe impiccato, ma sul suo mouse risultano macchie di sangue e accanto al corpo sono stati trovati due coltelli senza impronte». Ma chi aveva interessare a mettere a tacere Mario? E soprattutto chi lo avrebbe tradito? «L’unica a sapere della sua partenza era la sua organizzazione che, sia chiaro, non abbiamo mai demonizzato, ma ci saremmo aspettati che l’Onu svuotasse le sacche di corruzione in quei Paesi. Mario desiderava solo rivedere Napoli e il suo mare, come ci aveva detto più volte». Inoltre in tutti quei mesi il giornalista continuò a scrivere articoli con uno pseudonimo «rivelando che quegli accordi di pace non erano mai stati fatti».

Poi il tentativo di archiviazione del caso. Ma con quali motivazioni? «Secondo i giudici Mario era depresso, viveva un conflitto amoroso. Piuttosto verrebbe da chiedersi: come mai si è tralasciato il fatto che un funzionario dell’Onu abbia ripulito la scena del crimine con la varechina insieme a quattro poliziotti colombiani?». Un altro elemento agghiacciante è che dall’appartamento di Paciolla sparirono le sue agende, una in particolare che portava sempre con sé, la macchina fotografica e il computer di lavoro. Intanto i genitori hanno attivato una piattaforma, marioveritas.org, «dove chiunque può testimoniare in anonimato su ciò che è accaduto». Oggi a Mario sono dedicati murales sia nella sua città natale che altrove. «La memoria è importante, ma vorremmo oltre che giustizia per la sua morte, che smettessero di infangarlo. Era un ragazzo pieno di vitalità, che amava viaggiare, giocare a pallacanestro e scrivere versi». 

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E tra i tanti il dolce ricordo di mamma Anna: «Fece un viaggio in Andalusia e comprò una bicicletta per fare il giro del Paese. Una sera non rispose al telefono e io andai nel panico. Lui mi richiamò dicendo “mamma, sono sullo Stretto di Gibilterra, il telefono lo butto nell’Oceano o nel Mediterraneo?”». Lo stesso ragazzo che, trovandosi in Giordania nel 2016, alla notizia della morte di Giulio Regeni, disse a un’amica “poteva capitare a uno di noi”.