Visite fiscali, tagliato l’orario agli statali. Il Tar: «Le ore di reperibilità devono scendere a 4»

Per i giudici i dipendenti pubblici sono discriminati rispetto ai privati

Visite fiscali, tagliato l’orario agli statali. Il Tar: «Le ore di reperebilità devono scendere a 4»
Visite fiscali, tagliato l’orario agli statali. Il Tar: «Le ore di reperebilità devono scendere a 4»
di Francesco Bisozzi
Lunedì 6 Novembre 2023, 00:05 - Ultimo agg. 7 Novembre, 09:51
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La scena è rimasta impressa nella memoria collettiva. Il vigile di Sanremo che timbrava al tornello in braghe. Emblema dell’era dei “furbetti del cartellino” tra i dipendenti pubblici. Ma quell’epoca è ormai archiviata. Quel vigile è stato assolto, con tanto di scuse e risarcimento. E ora iniziano a cadere una serie di norme sui dipendenti pubblici eredità di quel periodo. La prima a finire nel mirino è stata la fascia oraria per le visite fiscali per la malattia nel settore pubblico che, rispetto a quella del settore privato, è decisamente più lunga: 7 ore contro 4.

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L'intervento del Tar

Sulla questione è intervenuto il Tar del Lazio che, accogliendo il ricorso presentato dalla Uil Pubblica amministrazione Polizia penitenziaria contro la presidenza del Consiglio e il ministero del Lavoro, ha parlato di una modalità «decisamente più penalizzante per i dipendenti pubblici».

Modalità introdotta dal decreto Madia-Poletti, che finora ha regolato lo svolgimento delle visite fiscali per l’accertamento delle assenze dal servizio per malattia e fissato le fasce orarie di reperibilità.

Il nodo

Il problema è che secondo i giudici amministrativi, la fascia per i controlli prevista nel settore pubblico, che attualmente va dalle ore 9 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 18, con obbligo di reperibilità anche nei giorni non lavorativi e festivi, mal combacia con quella del settore privato (10-12 e 17-19). La suddivisione prevista dall’ex ministra della Pa, Marianna Madia, non avrebbe assicurato secondo i giudici l’armonizzazione della disciplina per pubblico e privato.

La protesta

Così la Uil: «La mancata armonizzazione della disciplina delle fasce orarie di reperibilità ha determinato una disparità di trattamento del tutto ingiustificata fra i dipendenti pubblici e quelli del settore privato, considerato che un evento come la malattia non può essere trattato diversamente a seconda del rapporto di lavoro intrattenuto dal personale che ne viene colpito». E ancora. Gennarino De Fazio, segretario generale della Uil Pa Polizia penitenziaria, sottolinea: «Il Tar del Lazio ha accolto integralmente le nostre tesi e ha annullato “in parte qua” il decreto ministeriale Madia-Poletti, ministri dell’ex governo Gentiloni. Di più. Il Tar ha anche precisato che stante l’effetto conformativo riconosciuto alla sentenza, nell’adozione del nuovo decreto non potrà non tenersi conto di quanto statuito con la decisione in parola». Infine, De Fazio assicura che il sindacato continuerà a seguire la vicenda «auspicando che si risolva definitivamente, come sarebbe doveroso, per mano politica e via amministrativa, con la riscrittura del decreto ministeriale fedele alla delega di legge, e non ancora in un’aula di giustizia». 

IL PASSAGGIO

La sentenza del Tar del Lazio parla chiaro. «La Funzione pubblica – scrivono i giudici – ha lasciato invariate le fasce orarie di reperibilità, ossia quelle nelle quali il dipendente pubblico deve necessariamente farsi trovare presso il proprio domicilio dal medico fiscale, pena una sanzione disciplinare anche di natura economica. Sulla questione il Consiglio di Stato, esaminando il decreto attuativo della riforma Madia, aveva sollevato varie osservazioni, tra cui quella di equiparare i controlli nel settore pubblico con quelli del settore privato, tentando di dare una armonizzazione alle discipline». Da qui il severo giudizio: «Non vi sarebbe stata alcuna volontà, da parte del legislatore, di equiparare il settore privato al settore pubblico in fatto di fasce di reperibilità, lasciando in essere una manifesta discriminazione». Infine, la stoccata finale: «Le disposizioni citate – si legge sempre nella sentenza del Tar – sembrerebbero perseguire un obiettivo di dissuasione al ricorso all’assenza per malattia del dipendente pubblico, che travalicherebbe il dovere di salvaguardare il preminente interesse pubblico, nonché l’efficienza, l’efficacia e in buon andamento della Pubblica amministrazione».

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