Eugenia Roccella, ministra della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità (da oggi in libreria con “Una famiglia radicale”, edito da Rubbettino): in Italia il numero dei nuovi nati crolla, a Roma molto più che altrove. Come si fa a invertire la rotta?
«Occorrono interventi economici e una rete di welfare che funzioni. Ma è necessario anche un cambiamento culturale: fare figli ha un valore sociale, questo valore deve essere percepito e riconosciuto».
E il governo come si sta muovendo concretamente?
«In poco tempo abbiamo già dato un segnale molto importante.
Spostiamo l’orizzonte ai prossimi cinque anni: cosa intendete fare per evitare un “inverno demografico”?
«Lavoreremo a un grande piano per la natalità. Promuovendo il criterio familiare in ogni ambito dell’azione di governo. E, soprattutto, realizzando un ambiente sociale, normativo e culturale che assecondi e non ostacoli il desiderio delle donne di fare figli, che tutte le rilevazioni dicono essere intatto rispetto al passato. Stiamo lavorando a un tavolo comune con i ministeri interessati, a cominciare da quelli del Lavoro e della Salute, per un intervento ampio e organico. Ed è importante il coinvolgimento delle imprese, del volontariato, degli enti locali».
Eppure, ministro, di politiche per incentivare le nascite si parla da anni, anzi da decenni: a guardare i numeri, con scarsi risultati. Cosa le fa pensare che stavolta sarà diverso?
«La parola “natalità” nella denominazione del mio ministero non è solo un’etichetta. E, come già detto, le nostre intenzioni sono state fin da subito suffragate da fatti».
Da ministra per la Famiglia se lo sarà chiesto: perché, secondo lei, si fanno così pochi figli in Italia? E perché il dato nelle grandi città come Roma è addirittura quattro volte peggiore rispetto alla media?
«Si fanno pochi figli non perché ne manchi il desiderio, ma perché il contesto è scoraggiante. Soprattutto per le donne. E, paradossalmente, nelle città è ancora più sfilacciata quella rete parentale di solidarietà che ha sempre sostenuto la maternità. In molte grandi centri i nuclei composti da una sola persona hanno superato le famiglie con figli. E su questo incide anche il costo dei servizi e il tipo di vita indotto dall’organizzazione sociale».
E quindi che soluzioni vede, in particolare per la Capitale?
«C’è molto da lavorare sul fronte dei servizi e anche sul recupero di una dimensione comunitaria che nei grandi centri è più fragile. Soprattutto, però, è importante che le donne che vogliono diventare madri non vengano penalizzate o addirittura costrette a rinunciare alla propria realizzazione personale».
A sentire chi si occupa di demografia, però, il problema è anche a monte: i giovani (e in particolare le donne) in età fertile sono pochi, nel nostro Paese. Un’immigrazione controllata potrebbe aiutare a “ringiovanirci”?
«Sarebbe una soluzione illusoria. I dati ci dicono che gli immigrati assimilano velocemente gli stili di vita e le abitudini del Paese di arrivo, e dunque anche la propensione alla denatalità. In Italia, inoltre, le dinamiche migratorie incontrollate hanno determinato una netta prevalenza maschile. E poi poche nascite sono indice anche di una società poco vitale, poco capace di intraprendere e di innovare».
Tanti neogenitori lamentano un welfare carente, a cominciare dagli asilo nidi: pochi, o spesso con rette proibitive. Il governo è pronto a stanziare risorse su questo fronte?
«Per gli asili nido c’è un obiettivo del Pnrr che potrebbe davvero rappresentare una svolta. Affinché arrivi a un concreto compimento su tutto il territorio nazionale è però importante semplificare le procedure e accompagnare gli enti locali. È la direzione in cui il governo sta operando».
E gli asili nido aziendali, diffusi in molti Paesi del Nord Europa ma ancora molto poco da noi? Come incentivarli?
«Una rete di welfare aziendale funzionante è fondamentale. Ci sono buoni esempi da mettere in rete e pratiche da incentivare. Uno strumento che abbiamo reso operativo è ad esempio la certificazione della parità di genere, che premia con sgravi e agevolazioni le imprese che garantiscono non solo una rappresentanza femminile ma anche una particolare attenzione alla maternità».
Pensa a nuovi aumenti dell’assegno unico per i figli? E il quoziente familiare? Si parla di metà febbraio come il momento buono per cominciare una revisione del fisco “più a misura di famiglia”.
«L’assegno unico lo abbiamo appena aumentato, e a breve si vedrà anche l’effetto della rivalutazione Istat. E un principio di “fattore famiglia” lo abbiamo sperimentato sui bonus edilizi. È necessaria anche una revisione strutturale dei sostegni alle famiglie, per correggerne le storture e potenziarli. Ovviamente con i tempi e i modi che saranno consentiti dall’emergenza energetica e internazionale».
Nel frattempo però è scoppiata la polemica per una proposta di legge presentata dal suo partito, Fratelli d’Italia, per riconoscere i diritti civili sin dal concepimento. Le opposizioni vi accusano di voler limitare la possibilità di abortire: qual è la linea dell’esecutivo?
«La maggioranza, a cominciare da Giorgia Meloni, ha detto in non so quante lingue che l’obiettivo è dare piena applicazione alla legge 194, non modificarla neanche di una virgola. Ogni iniziativa parlamentare è legittima, ma sulla 194 la linea è chiara e inequivocabile».