Elezioni, Camera al Pd, boom di Grillo
Senato senza maggioranza

Elezioni, Camera al Pd, boom di Grillo Senato senza maggioranza
di Mario Stanganelli
Martedì 26 Febbraio 2013, 07:51 - Ultimo agg. 16 Marzo, 01:09
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ROMA Giornata al cardiopalma per quanti - soprattutto i pi direttamente interessati - hanno vissuto davanti agli schermi delle tv la maratona di ieri sui risultati elettorali. Gli exit poll, la cui diffusione è iniziata contemporaneamente alla chiusura dei seggi alle 15, hanno confermato, in perfetta concordia tra i vari istituti, per circa un’ora la pronosticata vittoria del centrosinistra al Senato.

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Sembrava doversi stabilire solo la misura della conquistanda maggioranza da parte della coalizione guidata da Pier Luigi Bersani, e invece poco dopo le quattro il primo colpo di scena. Il decano dei sondaggisti italiani Nicola Piepoli, il cui istituto aveva fino a un attimo prima diffuso i dati di cui si diceva, presentava, per conto della Rai, la prima proiezione effettuata sui voti reali sancendo il sorpasso della coalizione di Silvio Berlusconi sul centrosinistra. 31% a Pdl e Lega, contro il 29,5 per Bersani e Vendola e, a breve distanza, un clamoroso 25 per cento che preannunciava il boom registrato da Beppe Grillo in questa tornata elettorale. Per Mario Monti un magro 9,6 con tutti gli altri collocati sotto la soglia di esclusione dall’emiciclo di palazzo Madama.

DATI ALTALENANTI

Dati questi che, nel corso delle ore, avrebbe visto diversi aggiustamenti riportando, sia pure per un piccolo margine, una volta scrutinata la totalità delle schede, la coalizione di centrosinistra in testa al Senato con il 31,6 contro il 30,7 per Berlusconi e alleati e fissando al 23,8 la performance di Grillo e quella di Monti al 9,1. Naturalmente, data la particolarità dell’attuale legge elettorale, il lieve margine a favore di Bersani è ben lontano dal garantirgli una maggioranza a palazzo Madama.

Anzi, secondo calcoli che dovranno ancora essere verificati, le due coalizioni più forti potrebbero trovarsi in quasi parità tra i 115 e i 120 senatori ciascuna. Intorno ai 55 seggi dovrebbero andare al Movimento5Stelle e una ventina alla Scelta Civica di Monti. A questi vanno aggiunti i sei eletti nella circoscrizione estero, le schede dei quali - assieme a quelle per l’elezione dei 12 deputati d’oltre confine - devono ancora essere scrutinate.

Quindi, uno scenario, quello del Senato, che per l’assensa di una maggioranza riconoscibile resta segnato da un fortissimo tasso di ingovernabilità, cui farà da contraltare l’assetto che le urne detteranno per la Camera. Sempre in base alle regole del porcellum, alla coalizione vincente basta un solo voto in più per aggiudicarsi 340 deputati: il 55% dei deputati. Quando, in nottata, mancava lo spoglio di pochissime sezioni, il centrosinistra vedeva confermata la speranza, tenuta viva a dispetto di un esito elettorale complessivamente inferiore alle attese, di poter vincere almeno a Montecitorio.

I dati ufficiosi del Viminale gli assegnavano infatti il 29,5% contro il 29,1 della coalizione del Cavaliere: circa 120 mila voti di differenza tra i due schieramenti. Spicca anche in questo contesto il notevolissimo 25,5 di Beppe Grillo, che risulta essere il primo partito in più di una Regione, come la Sicilia, la Sardegna e le Marche, 4 province su 7 del Veneto e, dato ancor più significativo, l’M5S, al termine dello scrutinio della Camera, conquistava la palma di primo partito del Paese con più di 40 mila sul Pd (25,54 contro 25,42). Il movimento di Grillo è inoltre secondo in molte altre realtà, vedi Genova, la sua città, dove ha sfiorato i centomila voti, superato per soli ottomila da Bersani. Staccata la coalizione di Mario Monti fermo al 10,6.

Mentre Antonio Ingroia, con il 2,2%, vede lontanissima la soglia del 4 per cento che gli avrebbe consentito di portare, assieme al leader dell’Idv Antonio Di Pietro, una pattuglia di parlamentari alla Camera. Ancor più modesto il risultato di ”Fare per fermare il declino“, fermo all’1,1%, danneggiato probabilmente dalle vicende a cui è andato incontro il suo leader Oscar Giannino.

RESISTE LA FASCIA ROSSA

In complesso le Regioni conquistate con certezza dal centrosinistra nella contesa per il Senato sono quelle della ”fascia rossa“ centrale con Liguria, Emilia, Toscana, Umbria e Marche, a cui si aggiungono il Lazio, dove nella consultazione regionale si è imposto senza eccessivi problemi Nicola Zingaretti, la Sardegna, la Basilicata e, sul filo di lana, anche il Piemonte. Tutte le altre vanno alla coalizione del centrodestra, al cui interno la Lega, con un modesto 4 per cento, sconta l’effetto piglia-tutto del redivivo e lanciatissimo Cavaliere.

Alla Camera, il verdetto definitivo, vista anche la richiesta di verifica venuta dal segretario del Pdl Alfano, si avrà forse solo nella giornata di oggi, dato il margine assai esiguo del centrosinistra sulla coalizione guidata dall’altro vero vincitore della consultazione di ieri, Silvio Berlusconi, autore di una spettacolare rimonta rispetto ai sondaggi della vigilia. Dal risultato di Montecitorio dipende, in definitiva, il segno di questa tornata elettorale, con le conseguenti decisioni che, per primo, dovrà prendere il capo dello Stato per la formazione del nuovo governo.

Resta da dire dell’affluenza nelle due giornate di voto. A fronte di un calo di oltre il 5% alle politiche, si è registrato un notevole incremento alle regionali per l’indubbio effetto-traino operato dalle prime sulle seconde. I votanti alla Camera sono stati il 75,1 per cento degli aventi diritto, a fronte dell’80,5 delle precedenti consultazioni. Quasi identici i risultati del Senato: 75,2 contro l’80,4. Alle regionali della Lombardia la partecipazione è stata invece del 76,7 per cento, contro il 64,6 del 2010. Nel Lazio il 72% a fronte del 60,9 di due anni fa. In Molise, infine, si è recato ai seggi il 61,6 degli elettori contro il 59,8 delle consultazioni del 2011, che sono state annullate dal Consiglio di Stato per irregolarità.

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