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Alle tante difficoltà di una Riviera di Chiaia che prova a risollevarsi da Covid e anni di cantieri, va aggiunta l'incuria di Villa Pignatelli. È trasandato, il verde del parco della villa neoclassica partenopea. Foglie secche, vasi vuoti abbandonati qua e là, erbacce impazzite, angoli da savana e aree off limits annunciate da transenne. La manutenzione del giardino della sede del Museo Principe Diego Aragona e del Museo delle Carrozze, insomma, non vive la sua stagione migliore. Aree incolte si trovano anche nei dintorni della domus pompeiana ottocentesca. I gioielli di Napoli, in certi anfratti, non sono così splendenti.
Il cartello delle info per turisti è tristemente bucato, e un graffito improvvisato da incivili deturpa già uno dei muri esterni dei cancelli principali. Tra le inferriate, sulla soglia della villa, si nota poi affisso un foglio a4: «Si prega di non mettere cibo per i gatti», si legge. L'avverbio «assolutamente» è aggiunto col pennarello, sotto il naso di uno dei diversi mici dormienti che abitano la villa. Felini a parte, l'incuria inizia dalla fontana al centro del giardino: foglie gialle e acqua torbida, color palude. Il prato si presenta in condizioni migliori, ma quasi tutte le palme sono ingiallite. Erbacce nate tra i marmi delle scale e vasi con rami secchi spuntano poi sulla facciata principale dell'edificio accanto a fioriere quasi senza fiori. Poco oltre, in prossimità dell'ingresso del museo, c'è un vero e proprio campetto di grano, con malerba alta, non potata e color oro. Stile savana. Qualche metro più in là, nel piazzale dove sono sistemate le sedie per eventi e concerti (l'ultimo c'è stato ieri sera), c'è anche una transenna che impedisce l'accesso all'area verde sul retro della villa: «Lì non si può andare dicono i custodi Quello spazio è utilizzato come parcheggio per i dipendenti».
Il Museo (per cui occorre un ticket online) e il giardino di Villa Pignatelli (che invece è a libero accesso) non sono frequentatissimi. Nel nostro tempo di permanenza siamo stati i soli visitatori dell'area. Intorno, la Riviera di Chiaia vive tra dissesti e restyling da ormai quasi 10 anni. L'uscita della metro (linea 6) di Largo Pignatelli è finita (da mesi) ma rigorosamente chiusa, nell'attesa che entri in funzione la tratta che dovrebbe collegare Fuorigrotta al centro della città. Non si contano i cartelli di «vendesi» o «cedesi» affissi sulle soglie dei locali di via Bausan e dintorni. La movida, qui, non esiste più da anni dopo la migrazione dei giovani del by night tra via Bisignano e dintorni. In zona resistono pubblici esercizi e negozi storici, ma sono tante le attività nuove e non che oggi hanno abbassato le saracinesche (il Bar Riviera, nelle mani del curatore fallimentare con base d'asta a partire da «110mila euro», come si legge all'esterno del locale, o la Cantina di Triunfo che ha chiuso solo il ristorante). C'è anche chi apre per la prima volta nel post-Covid, sperando in una rinascita definitiva della zona con la consegna della stazione della metro della Linea 6, di cui già si vede la buvette davanti a Palazzo Guevara di Bovino, restaurato pure quello dopo il crollo del 2013. Di sera, al momento, i locali sono più dei clienti. I segnali incoraggianti in zona non mancano (come la riapertura dell'acquario, o la mostra su Klimt alla Casina Pompeiana), ma i dubbi e le ombre sono tutt'altro che allontanati: «A parte la solitudine di Villa Pignatelli, che è comunque a mio giudizio più curata rispetto a diverse strutture pubbliche in zona, tante aree della Villa Comunale restano intrappolate dal degrado e dalle transenne - spiega il presidente della Municipalità 1 Chiaia-Posillipo, Francesco de Giovanni - La scommessa da realizzare, in questi mesi, consiste nel fare in modo che la ripartenza globale dopo la pandemia coincida con la ripartenza della Riviera di Chiaia e di tutta l'area monumentale che la circonda. E soprattutto, si spera che la fermata della linea 6, che è costata tanti sacrifici in termini sia economici che sociali, non si riveli un'opera infrastrutturale poco utilizzata dagli utenti. Il rischio c'è: mi auguro che non si traduca in realtà».
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